Consigli di lettura per piccole lettrici e piccoli lettori sul tema della fecondazione assistita!

Se siete di Torino, o semplicemente appassionati di lettura ed editoria, saprete che sta finalmente per tornare in presenza il Salone internazionale del libro di Torino (#SalTo), la cui edizione 2021 si intitolerà Vita Supernova.

La fervente attesa con cui è stato atteso questo ritorno mi spinge a scrivere un post con qualche consiglio di lettura… nello specifico sul tema della fecondazione assistita raccontata a piccine e piccini!

Avevamo già parlato di “Storia di Cristallo di Neve… non di cavoli, né di cicogne” (edito da Valentina Edizioni) e intervistato le autrici: Francesca Fiorentino, l’autrice dei testi, ed Erica Lucchi, l’illustratrice di questo albo sul tema della fecondazione assistita con un dono di gameti (ovociti e/o spermatozoi), comunemente nota in Italia come eterologa“. Potete ritrovare l’intervista qui!

In questo post vorrei invece proporvi altri due albi, il cui pregio, al pari di “Storia di Cristallo di Neve“, non sta esclusivamente nell’estrema qualità delle illustrazioni, ma specialmente nella capacità di normalizzare un tema che troppo a lungo (e talvolta ancora oggi) è stato oggetto di tabù e stigmatizzazione. In questo contesto, poter spiegare con semplicità, attraverso una storia, quali sono le premesse psicologiche, emotive e anche mediche di una fecondazione assistita… diventa assolutamente importante. Spiegarlo alle più piccole e ai più piccoli, che siano nati da una fecondazione assistita o meno, diventa certamente essenziale! Bambine e bambini costruiscono sin dalla prima infanzia il mondo che vivremo domani e, sostituendo ai segreti e ai silenzi delle spiegazioni a loro misura, i risultato sociale e culturale è assicurato.

Il primo albo che vi consiglio oggi è “Storia di un bambino al microscopio” di Lucia Maroni e con le illustrazioni di Anna Formilan (Publistampa Edizioni). Una storia che parla ai cuori attraverso la descrizione del desiderio e dell’attesa di un figlio che non arriva, eppure è presente nel quotidiano dei suoi futuri genitori:

Ci sono poi scintille più pigre, timide, lente, che se ne stanno al caldo nei sogni dei loro genitori e hanno bisogno di tanto tempo prima che tutti possano vederle”.

E’ il racconto di un semino e di un uovo che si incontrano sotto a un microscopio, attraverso la celebrazione delle persone che metto in atto la scienza. Perché è un albo che parla del ruolo della scienza, certamente, ma grazie all’esperienza umana, ricca di determinazione, desideri e speranze. Qui potete trovare il profilo Instagram di Lucia Maroni e della “Storia di un bambino al micriscopio“, per scoprire di più e poterla seguire!

Il secondo albo che vi indico è “Il viaggio di Blastociccio” di Paola Russo e con le illustrazioni di Clara Esposito (Editrice Rotas). Anche in questo racconto il protagonista è il desiderio, perché Blastociccio, il protagonista, si svegli all’improvviso “dove dormono i sogni”:

– “Se qui dormono i sogni, allora io ero un sogno! Ma di chi?”

– “Dovrai scoprirlo da solo. E’ ora di partire. A casa tua ti stanno aspettando”.

Blastociccio [1], un piccolo pinguino, è sperso in un mondo dove non sa da dove viene, ma sa che deve intraprendere un cammino per scoprire chi l’ha sognato per potergli dare la vita. Il racconto affronta, in modo adatto alle più piccine e ai più piccini, anche l’aspetto della crioconservazione degli embrioni [2] e del percorso che i nati grazie a queste tecniche hanno affrontato. Lo strumento narrativo è quello metaforico: un riferimento esplicito ai professionisti sanitari e ai laboratori non viene tracciato, ma evocato come concetto in grado di essere appreso da bimbe e bimbi… per articolarlo poi durante la crescita!
Qui potete trovare il profilo Instagram di Paola Russo e de “Il viaggio di Blastociccio“, per scoprire di più e poterla seguire!

L’importanza dei libri e degli albi sul tema della fecondazione assistita, come scrivevo qualche riga fa, risiede soprattutto nella capacità di normalizzare le relative biotecnologie che, nonostante più di 40 anni di storia… continuano a porre difficoltà concettuali alle persone che non le abbiano provate sulla propria pelle. Difficoltà che si sommano a contesti sociali talvolta avversi e a normative spesso inique e insensate. Normalizzare, in questo caso, significa promuovere una cultura inclusiva verso le diverse storie che ogni famiglia ha alle spalle.


[1] Il nome deriva chiaramente da blastocisti, una fase dello sviluppo embrionale (successiva alla morula) che si verifica tra il 4° e il 14° giorno dalla fecondazione dell’ovocita da parte dello spermatozoo.

[2] La crioconservazione è un termine che descrive la procedura in cui le cellule (spermatozoi, ovociti, embrioni) vengono immerse in una soluzione di sali e composti organici (crioprotettore) e portate a temperature molto basse, fino alla conservazione a –196°C in azoto liquido.

Il Senato francese frena sulla riforma: stop al doppio dono e all’autoconservazione di gameti.

[“French Senate, Main Assembly Hall” by Pierre Metivier is licensed under CC BY-NC 2.0 ]

Dopo un primo momento di palpabile entusiasmo rispetto alle posizioni del Senat in Francia, i sostenitori di una riforma più radicale del sistema bioetico hanno subìto una forte delusione. La maggioranza repubblicana ha infatti posto il veto su due grandi temi: da un lato il doppio dono di gameti, mentre dall’altro l’autoconservazione dei gameti.

Il doppio dono di gameti è un trattamento che consiste nel ricevere un dono sia di spermatozoi, sia di ovociti al fine di ottenere un concepimento. L’autoconservazione, invece, consiste nella scelta di crioconservare (“congelare”) spermatozoi od ovociti a prescindere dall’esistenza di un criterio patologico. In Francia, infatti, è possibile richiedere la crioconservazione soltanto quando la persona interessata sia affetta da una patologia che possa inficiarne la fertilità (come nel caso di patologie oncologiche che richiedano terapie chemio/radioterapiche).

Rispetto al doppio dono è cruciale ricordare come in Francia sia invece già possibile adottare un embrione, così come, in modo speculare, per una coppia è possibile dare in adozione un embrione (tra quelli c.d. soprannumerari, cioè creati nel corso di una PMA, ma non trasferiti nell’utero della donna). Va da sé che il legame genetico tra coppia adottante ed embrione è inesistente. Per questo le ferree opposizioni di alcuni senatori al doppio dono appaiono faziose e infondate.

Come nel caso del senatore Dominique de Legge (Les Républicains LR), che vede nell’apertura al doppio dono

« una rottura biologica » a fronte del fatto che « fino a oggi la legge vietava il doppio dono per far sì che il bambino sia sempre legato biologicamente almeno a uno dei due membri della coppia ».

Anche Bruno Retailleau (presidente del gruppo LR al Senat) ha sostenuto che

se il legame “di sangue” venisse eliminato, ciò “potrebbe porre delle gravi questioni” rispetto alla filiazione, nonché aprire a “innumerevoli possibilità”, allorché la legge mira a  “mantenere almeno un legame biologico tra bambino e genitori”.

Se alcuni senatori sembrano ignorare come anche nell’adozione di embrione (legale da quasi 10 anni in Francia) il legame genetico sia interrotto con entrambi i genitori, lo stesso non si può dire per la Ministra della salute, Agnès Buzyn. Quest’ultima ha ricordato come

« sia inevitabile constatare » che nei casi di doppia infertilità di coppia, le coppie
« non sono propense ad adottare un embrione provieniente da un altro progetto familiare » e che infatti solo « una ventina di bambini nascano ogni anno a fronte di 10.000 embrioni crioconservati ».

 

Per quanto riguarda invece l’autoconservazione dei gameti, in Senato nella giornata di giovedì 23 gennaio si è svolta una vicenda quanto meno singolare. In un primo momento i senatori si sono opposti all’eliminazione, dal progetto di legge, dell’articolo relativo all’autoconservazione, con 178 voti contro l’eliminazione, 109 a favore e 26 sostenuti. Successivamente, nel corso di un voto a scrutinio pubblico sull’articolo, 119 senatori hanno votato a favore e altri 199 contro. Questa perfetta uguaglianza ha comportato il rigetto dell’articolo. Inoltre, ben 24 senatori della République en Marche si sono astenuti, nonostante nella campagna elettorale del 2016-2017 il tema fosse stato ampiamente sostenuto dal partito di Emmanuel Macron.

In ogni caso, il dibattito al Senat si è concentrato su due filoni di pensiero tradizionali in relazione alla scelta di crioconservare i gameti, in assenza di una malattia che minacci la fertilità. Da un lato si sono alzate dunque le voci di chi si dichiara garante della libertà di scelta delle donne, mentre dall’altro dei detrattori della cattiva influenza della pressione sociale (specialmente subìta dalle donne che lavorano in aziende che scoraggiano la maternità).

La commissione speciale del Senato aveva inizialmente votato a favore dell’autoconservazione e la relatrice Muriel Jourda (Les Républicains) aveva sottolineato la sensatezza della riforma perché in sede di esame della proposta, nel dialogo con le associazioni di pazienti, era emerso come a richiedere l’autoconservazione fossero nella maggior parte dei casi donne in difficoltà a trovare partner pronti ad affrontare un progetto genitoriale.

La presidente del gruppo misto, Eliane Assassi, ha utilizzato invece toni più aspri e ha inteso mettere in guardia

« le persone che agiranno sotto la pressione della società, che veicola un obbligo alla maternità, perché non tutte le donne saranno appagate dall’aver raggiunto lo status di madri ».

Le questioni del doppio dono e dell’autoconservazione dovranno dunque tornare al vaglio dell’Assemblée Nationale, che si era espressa alla fine del 2019 a favore di entrambe le proposte.

 

Chi ha paura della PMA? Definizioni introduttive anti-confusione

#EuropeanFertilityWeek2019

Nel cuore della Settimana europea della fertilità, al fine di aumentare la consapevolezza sul tema, credo sia importante considerare l’aspetto delle definizioni, per poter approcciare un universo molto vasto. Il dibattito pubblico infatti soffre spesso di eccessive semplificazioni e fraintendimenti, che poi si trovano alla pase di diffusi pregiudizi.

Avviso ai naviganti: questo post non si può considerare esauriente, ma tuttalpiù introduttivo ed efficace per iniziare a dipanare parte della fitta nebbia che circonda i dibattiti sulla Procreazione Medicalmente Assistita (PMA).

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Partiamo proprio dai termini: si discute spesso senza alcuna distinzione di “fecondazione assistita”, “procreazione medicalmente assistita”, “fecondazione artificiale”, “procreazione artificiale” e altri concetti più o meno attinenti. Ciascuna di queste formule ha un’origine in un determinato e specifico contesto:
– religioso (pro-creare, la creazione di Dio attraverso l’uomo),
– filosofico (fecondazione artificiale perché contrapposta a una naturale),
– storico (fecondazione assistita in quanto realizzata grazie al lume di un medico, alla sua specifica competenza scientifica).

Ma che cos’è la PMA in concreto? La PMA comprende procedure di varia natura:

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chirurgica, farmacologica, medica… messe in pratica con il trattamento delle cellule riproduttive, i gameti, sia maschili (spermatozoi) che femminili (ovociti) al fine di aiutare o permettere il processo riproduttivo (1).

Queste tecniche possono essere realizzate in vivo, cioè con l’introduzione degli spermatozoi direttamente nell’utero dopo aver monitorato l’ovulazione femminile (inseminazione intrauterina semplice – IUI).

Altrimenti la PMA può essere portata a termine in vitro (in vitro fertilisation – IVF o fecondazione in vitro con embryo transfer – FIVET) con un procedimento più complesso. Si tratta infatti di prelevare chirurgicamente dei gameti femminili, prodotti grazie a una precedente stimolazione ormonale.
L’embrione è dunque creato in laboratorio fecondando gli ovociti con gli spermatozoi. In caso di successo nello sviluppo, l’embrione o gli embrioni sono poi “trasferiti” nell’utero della donna. Con “impianto” dell’embrione si intende invece il momento in cui esso attecchisce all’utero dando luogo a un inizio di gravidanza. È perciò vero che nella FIVET ogni impianto derivi da un trasferimento, ma è altrettanto certo che non a ogni trasferimento corrisponda un impianto. Su questo punto tornerò illustrando le sentenze con cui la Corte Costituzionale ha smantellato la Legge 40 e, fidatevi, ci sarà molto di cui riflettere!

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In ogni caso, dal punto di vista delle classificazioni, le tecniche di PMA non si dividono solo tra in vivo e in vitro, ma anche in omologhe (quando sia i gameti maschili che quelli femminili appartengano alla coppia che ha un progetto genitoriale) ed eterologhe (quando invece i gameti di uno dei due sessi provengano non dal partner, ma da un soggetto esterno alla coppia). A livello internazionale, tuttavia, le tecniche di PMA sono classificate esclusivamente in base alla loro realizzabilità in vivo o in vitro. Infatti rispondono al nome di Assisted reproductive technology (ART) esclusivamente le tecniche realizzate in vitro (2).

In Italia però la conoscenza comune è molto focalizzata sulla differenza tra PMA omologa o eterologa. Certamente la presenza di un donatore o di una donatrice di gameti rileva al fine legale (al di là di quello medico e psichico), ma nella maggior parte delle leggi occidentali questa presenza non viene sottolineata dall’uso di una specifica terminologia. Un certo retaggio culturale, legato a una specifica morale sessuale e familiare, gioca un ruolo cruciale.

Se siete confusi e avete avuto bisogno di prendere appunti… è normale. Specialmente considerato come l’informazione scientificamente fondata in fatto di infertilità non sia diffusa. Quotidiani e soggetti politici spesso lasciano a desiderare nell’accuratezza delle spiegazioni, permettendo il rafforzamento del tabù, dello stigma sociale e di opposizioni ideologiche talvolta basate su fragili presupposti… e contro questo fenomeno di mala-informazione occorre battersi, non solo durante la European Fertility Week!

 


 

(1) Tra i testi che mi sono risultati più utili per l’approfondimento della parte biologica e medica: FLAMIGNI C., Il primo libro della sterilità, UTET, Torino, 2008; FLAMIGNI C., Il secondo libro della sterilità, UTET, Torino, 2008; TALEVI R., GUALTIERI R., Biologia e tecnologie della riproduzione umana, Piccin, Milano, 2019.

(2) ZEGERS-HOCHSCHILD F., ADAMSON G. D., DE MODZON J. et al., Infertility (clinical definition), in International Committee for Monitoring Assisted Reproductive Technology (ICMART) and the World Health Organization (WHO) revised glossary of ART terminology, 2009, in Fertility and Sterility, Vol. 92, No. 5, November 2009.

 

Intervista alle autrici di ‘Storia di Cristallo di Neve’: raccontare la fecondazione eterologa ai bambini… e non solo!

Dei contenuti pubblicati finora su Penna Vagante,
questa intervista è indubbiamente uno di quelli cui tengo maggiormente.
Ho scoperto casualmente ‘Storia di Cristallo di Neve… non di cavoli, né di cicogne‘…
e grazie ai social ho potuto conoscere virtualmente le sue autrici!
Francesca Fiorentino è l’autrice dei testi, mentre Erica Lucchi l’illustratrice di questo albo sul tema della procreazione medicalmente assistita (PMA) e della fecondazione eterologa, edito da Valentina Edizioni.
[I colori impiegati per evidenziare i concetti sono opera di chi scrive, n.d.a.]

 

Iniziamo con una domanda scontata, ma essenziale: da dove è nata l’idea di questo libro?

Erica Lucchi (E.L.): L’idea di questo albo è nata da Francesca. Gabriela, una cara amica comune, mi ha chiesto se volevo improvvisarmi illustratrice per dare vita ad un albo illustrato per bambini che una sua cara amica, Francesca appunto, aveva abbozzato con un tema importante e delicato; l’albo si prende cura dei genitori che desiderano raccontare ed informare i loro piccoli riguardo le loro origini biologiche e che pensano sia importante farlo da subito, fin dalla tenera età. Francesca, aveva redatto una prima versione in forma di filastrocca. Mi innamorai subito della storia e delle sue finalità. Ho accettato con un pizzico di incoscienza! (Fino ad allora mi ero occupata esclusivamente di pittura!

Francesca Fiorentino (F.F.): Il libro nasce dalla mia storia personale. Ho avuto problemi di fertilità e dopo svariati tentativi di omologa mi fu consigliato di provare con l’eterologa. E’ stato un percorso molto lungo e importante che mi ha messo a confronto con me stessa, con i miei sogni, con i miei limiti e con i limiti della società in cui vivo (quando feci io l’eterologa in Italia era ancora vietato). E’ dunque un pezzo molto importante della mia biografia ma anche della biografia di mia figlia. Non volevo che andasse perso, desideravo che mia figlia potesse conoscere il sentiero che ci ha portato ad incontrarci. Così ho cominciato a immaginare un modo per raccontarglielo un giorno, un modo semplice e a “portata di bambino”. Mi è “uscito” il testo che conosci, a cui poi Erica ha affiancato le sue commoventi, ma anche divertenti, immagini. Insieme ci siamo proposte con questo progetto alle case editrici e Valentina Edizioni ci ha dato un tetto.

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Chiaramente ciascuno affronta diversamente un percorso di PMA, ma quanto pesano secondo voi da un lato il tabù dell’infertilità e dall’altro la questione di genere? Incide molto il costante riferimento alla biologia più cruda che vorrebbe ridurre le donne a macchine guaste e dipingere gli uomini come poco virili ?

E.L.: Certamente quando si verifica una difficoltà a concepire, ci si comincia a sentire progressivamente a disagio, ci si sente “sterili, improduttive”; lo ho provato sulla mia pelle quando prima di leggere “positivo” il test di gravidanza, sono passati 12 mesi. Ho provato più di tutto inquietudine. Il progetto comune di famiglia, come innegabile realizzazione del nostro amore era inarrivabile, come remare controcorrente, come andare contro natura …… il principio di tanti pensieri, difficili da affrontare per molte coppie. Io credo che la percezione di te stessa sia di “macchina guasta”, ma credo che provenga principalmente da noi, e certamente questo riguarda anche il partner di sesso opposto.

F.F.: Diceva una mia prof. di antropologia culturale “Non c’è niente di più culturale di ciò che riteniamo naturale!”. Il fattore biologico è intriso di cultura, sono elementi inscindibili, quantomeno nella sensibilità dell’Uomo comune. Quando io parlo di mestruazioni, riproduzione, fertilità, gravidanza, o financo depressione post parto, ad ogni parola profferita mi porto appresso millenni di cultura di genere. L’infertilità oggi si tiene nascosta e si, sicuramente per qualcuno rappresenta un elemento di “fallimento” rispetto alle attese di genere a cui per fisiologia è assegnato. D’altra parte anche una donna che decide di non avere figli è vista male mentre un uomo che compie la stessa scelta brilla per charme.

 

Passiamo al tema centrale del libro: raccontare la storia del loro concepimento a tutti i bimbi nati da PMA con dono di gameti, che in Italia ci ostiniamo a chiamare eterologa. Secondo me il riferimento costante all’ “etero”, quindi etimologicamente a qualcosa/qualcuno di estraneo alla coppia, rischia di creare una pericolosa confusione. Anche qui ritorna la riduzione alla biologia secondo cui sarebbero i geni a identificare i genitori e non l’amore, la cura, la vita condivisa… Pensate sia un rischio concreto o solo un vezzo accademico?

E.L.: Credo che la scienza, cioè gli studiosi, medici, ecc., talvolta non siano sufficientemente prudenti ad assegnare definizioni che, per la medicina sono semplicemente nomi con lo scopo di classificare problematiche o patologie, ma che le persone poi vestono come un abito. Possono, al contrario, creare confusione o persino avvilimento nell’inevitabile processo di identificazione del termine. In qualche caso è quindi il nome a determinare l’identità e non viceversa. Mi auguro che si possa in futuro fare più attenzione nella scelta della terminologia clinica e non solo. Riflettendo sul punto forse ora per la prima volta e penso che i bambini in primissima persona possano essere a percepirsi come estranei alla coppia di genitori o alla mamma. Per noi adulti forse è entrata nel linguaggio comune questa terminologia e forse si è svuotata della sua origine che però, analizzandola, sottolinea una sorta di separazione/sotto-categoria. L’amore e la cura dovrebbero essere il legame più profondo e indissolubile e questo andrebbe messo in evidenza, la scienza però si occupa di classificare sintomi tangibili e in questo se ne percepiscono i limiti. 

F.F.: Le parole costruiscono mondi. Noi abitiamo dentro le nostre narrazioni. Non è assolutamente un vezzo accademico ma qualcosa su cui riflettere. Quando il mio ginecologo mi propose l’eterologa mi disse “Dimmi: vuoi “un figlio che ti somigli” o “un figlio”? Per me la risposta fu chiara e lampante ma da quella bellissima domanda incominciai ad interrogarmi e ad ascoltare le teorie sull’essere genitori delle altre persone. Per la maggior parte il fattore genetico e di somiglianza è esiziale, e l’idea di ricevere una cellula da qualcuno è vista non come una risorsa ma come una disfatta personale che richiede percorsi di elaborazione lunghi anni, che a volte si concludono con la rinuncia ad avere un figlio o la scelta di tenere nascosta questa cosa….. Quindi credo che l’uso del termine “eterologa” in effetti sia lo specchio dei tempi, e che (per lo meno da noi in Italia) sia molto più facile accettare un rene o un cuore piuttosto che una cellula di dimensioni millesimali. La ragione? Diciamo che ho diverse idee ma sarebbe decisamente una bella ricerca da condurre! Peraltro una ministra italiana tempo fa parlò addirittura di “genitori biologici” riferendosi ai donatori…. Ho ancora i brividi al pensiero….

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Storia di cristallo di neve è un libro dalla bellezza disarmante, specialmente per la delicata semplicità con cui affronta il percorso a ostacoli (fisici e psichici) che è la PMA, partendo dal suo lieto fine: la nascita di una nuova vita… al quale raccontare la sua storia! La mia impressione è che raccontare questa storia ai bambini sia tanto più facile che spiegarla a un adulto. Siete d’accordo o vi sembra un’impressione sbagliata?

E.L.: Sono completamente in accordo! Inoltre, le favole hanno il potere enorme, la magia stupefacente di saper condurre il lettore là dove si vuole arrivare con semplicità disarmante. Hanno strumenti per affrontare temi scomodi e spinosi per gli adulti, ma estremamente limpidi per i bambini, come la nascita di una nuova vita, senza farsi fuorviare dalle infrastrutture, incertezze e timori degli adulti.

F.F.: Quando mia figlia mi ha chiesto come fosse nata (a 4 anni) le raccontai del taglio cesareo. “No mamma” rispose “non voglio sapere come sono nata in QUEL senso”. Capii che era arrivato il momento…. Gonfiai il petto come una cantante di lirica, inciampai nelle parole, ma mi ripresi subito vedendo con quanta naturalezza lei accogliesse la sua storia. Per i bambini è un dato di fatto non suscettibile di giudizio. Sfugge alle logiche dualistiche del bene vs male. I bambini nascono ANCHE così. Punto. Questo fatto è parte del suo “orizzonte degli eventi”. Sugli adulti invece gravano millenni di pregiudizi intrisi ahimè di cultura clericale e moralista.

 

Per me la PMA è diventata oggetto di studio e lavoro (ma anche una battaglia civile), perciò talvolta temo di non dare abbastanza spazio al lato umano, alla voce dei protagonisti di queste storie. Nel dibattito pubblico, poi, il tema è affrontato spesso con incompetenza e relativi pregiudizi. Sembra che la PMA sia il tripudio dell’artificio, dell’eugenismo e quindi dell’egoismo. Per questo credo che serva dare molta più eco alle voci dei protagonisti. Che cosa vorreste dire a chi si appresta ad affrontare una PMA con dono e magari patisce questo contesto o si sente solo/sola?

E.L.: Pregio e difetto della vita contemporanea è la condivisione; è abbastanza semplice e alla portata di tutti trovare persone o gruppi con cui condividere la propria storia secondo il proprio modo di viverla, diventando protagonista insieme ad altri nella storia della propria vita. Un tempo forse si rimaneva più isolati in situazioni analoghe.

F.F.: Dico che più se ne parla più si diventa “massa critica”. La legge 40 sta cadendo a colpi di ricorsi ad opera di coppie coraggiose, io ho scritto il libro e son felice quando posso parlarne, numerose sono le Onlus che danno sostegno a chi percorre la strada della PMA. Se penso a mia figlia non penso a cosa o chi vorrei che fosse ma al mondo che vorrei per lei. Se un domani dovesse scoprire di avere problemi di fertilità vorrei per lei un contesto solidale e non ghettizzante. Per ciò, per il suo futuro e per quello di tutti gli altri bambini, mi muovo come posso per permettere loro di compiere un domani le scelte che più desiderano senza sentirsi dei peccatori fuorilegge.

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Curiosità editoriale/personale: com’è nata la vostra collaborazione per realizzare testi e illustrazioni? Avete altri progetti comuni in realizzazione?

E.L.: Gabriela è mancata dopo qualche mese che il libro è uscito nelle librerie. L’amicizia e stima con Francesca in questo duplice percorso si è consolidata. Insieme abbiamo portato a termine un secondo progetto pubblicato nel novembre 2018 dalla collana “Lisolachecè” di Multimage dedicata alla promozione dei diritti dei bambini, “Se mi dici pollo fritto”, albo illustrato che racconta con leggerezza e ironia, il potere che le parole hanno nel dare forma alla realtà, e l’impatto che possono avere su ognuno di noi, mettendo a nudo la genesi dei processi di marginalizzazione e bullismo, offrendoci al contempo gli strumenti per interromperli. Un terzo progetto in cerca di casa editrice, tratta il tema scomodo dello smodato impiego della plastica e del suo impatto ambientale.

F.F.: Ho conosciuto Erica per il progetto di Cristallo di Neve. Mi fu presentata dalla mia più cara amica che da li a poco sarebbe morta di un brutto tumore. Credo che sia il lascito più bello e prezioso che abbia potuto farmi prima di andarsene. Erica ora non è solo un’artista appassionata con cui lavoro benissimo ma è anche e soprattutto la mia migliore amica. Da Cristallo di Neve è nata un’avventura editoriale che ha dato i natali a “Se mi dici pollo fritto” racconto anche questo per bimbi, che parla dell’importanza delle parole e del peso che hanno quando si pronunciano all’interno di una relazione, e un altro testo che parla dell’amicizia di una bambina e una balena morente che per ora ancora non ha trovato “casa”. Ma non demordiamo, ce la faremo a dare un tetto anche alla nostra balena!

 

 

 


Riferimenti:

– Francesca Fiorentino, Erica Lucchi, Storia di cristallo di neve… Non di cavoli, né di cicogne, Valentina Edizioni, 2015;

– Francesca Fiorentino, Erica Lucchi, Se mi dici pollo fritto, Ass. Multimage, coll. Lisolachecè, 2018.

 

I 15 anni della Legge 40: com’era regolata la PMA in Italia prima del 2004?

Ieri la Legge 19 febbraio 2004 n. 40, più nota come Legge 40, ha compiuto 15 anni di vigore. Del testo originale, contenente le “norme in materia di procreazione medicalmente assistita” (PMA), molte parti sono state cancellate dall’intervento dei giudici costituzionali.

L’impatto della PMA sulla popolazione nel nostro Paese, dal punto di vista quantitativo, non può essere valutato con estrema precisione. Le lunghe attese dei servizi e i divieti ancora in vigore spingono infatti molte persone a a cercare le cure all’estero, specialmente in Spagna, Repubblica Ceca, Belgio e Olanda. Limitatamente a chi accede a una PMA in Italia, i dati del ministero della Salute relativi al 2016 ci rivelando che i neonati nati vivi dopo una PMA sono stati quell’anno 13.582, a fronte di 97.656 cicli di fecondazione realizzati. Il tasso di riuscita si attesta quindi al 13,91%.

Ma la PMA è sempre stata vietata o fortemente limitata nel nostro Paese?
In realtà no, anzi, prima del 2004 l’Italia figurava tra gli Stati in grado di offrire cure per la fertilità a chi decideva di eludere i divieti esistenti nel proprio Paese. Tuttavia l’accettazione della PMA non è stata immediata, né priva di ostacoli.

Il primo intervento in materia è stato quello del Ministro della Sanità Degan, Costante_Degan.jpg che con una circolare ministeriale nel 1985 vietò il ricorso a tecniche di fecondazione con gameti estranei alla coppia (fecondazione eterologa) nei centri pubblici. Diversamente, in quelli privati, il dono di gameti non solo era consentito, ma rivolto anche alle coppie non sposate.

Successivamente, a causa dello scandalo del sangue infetto da HIV che colpì numerosi CSIRO_ScienceImage_2724_HIVpositive_blood_cell_vs_HIVnegative_Blood_Cell sistemi sanitari, il Ministro della Sanità Donat Cattin emanò una circolare (n. 19 del 1987), con la quale vennero identificate le misure per evitare il contagio attraverso l’impiego di seme maschile infetto. Nel 1992 le disposizioni vennero aggiornate, sancendo chiaramente anche il principio di anonimato del donatore (circolare ministeriale n. 17).

Nel 1995 il Codice di Deontologia Medica stabilì poi numerosi divieti: dalla Gestazione per Altri (GPA), passando per la diagnosi genetica preimpianto (DGP), attraverso la PMA post mortem, per giungere all’esclusione della PMA per le donne in c.d. menopausa precoce. Il Codice consentiva in compenso ai medici di mettere in pratica le fecondazioni eterologhe.

Il panorama delle norme si arricchì nel 1997, quando due ordinanze del Ministero della 43256877782_a04dda3cd3_b.jpg  Sanità sancirono l’illegalità da un lato di qualsiasi forma di remunerazione per i donatori di gameti ed embrioni, dall’altro la sperimentazione diretta a clonare esseri umani o animali. All’origine del divieto di clonazione vi era lo scalpore suscitato dal noto caso della pecora Dolly, il primo mammifero a essere clonato con successo nel 1996.

Infine, prima dell’avvento della Legge 40, due ordinanze del Ministro della Salute Sirchia vietarono l’esportazione di embrioni e gameti all’estero (dicembre 2002).

La Legge 40 è stata quindi il primo atto normativo a contenere la regolazione completa della materia, aggiungendo però un cospicuo numero di limiti all’accesso o alla pratica delle fecondazioni artificiali.  Quali? Ce ne occuperemo nelle prossime settimane, dedicando un articolo a ogni divieto per capire nello specifico come funzionino le tecniche e quali di queste siano oggi permesse!