La riforma della bioetica in Francia, parte II. La crioconservazione dei gameti.

La riforma della loi de bioéthique (legge di bioetica in Francia, che ho introdotto qui) è intervenuta su diversi aspetti legati alle biotecnologie riproduttive. Oltre alla fecondazione assistita per coppie lesbiche e donne single, un altro aspetto innovativo riguarda la crioconservazione [1] dei gameti maschili (spermatozoi) e femminili (ovociti). Si tratta di una tecnica in grado di preservare a bassissime temperature le cellule riproduttive e gli embrioni umani, al fine di poterli impiegare o trasferire nell’utero della donna in un momento successivo a quello di prelievo o creazione.

Nella storia della medicina, il primo successo registrato a seguito della crioconservazione degli ovociti umani è stato registrati nel 1986, a seguito della nascita del primo bambino sano [2]. La tecnica era stata inizialmente pensata per ovviare ai casi nei quali la fertilità fosse minacciata da patologie (riproduttive, oncologiche, etc.) o traumi e, conseguentemente, molti Paesi ne hanno vincolato il ricorso esclusivamente a simili scenari di prevenzione. Così era in Francia fino a prima della riforma di quest’estate, a partire dalla quale, invece, sarà possibile per donne e uomini accedere alla crioconservazione preventiva dei gameti, in vista di un futuro progetto genitoriale, anche in assenza di un quadro clinicamente accertato che infici la fertilità presente o futura (autoconservation des gamètes).

L’opportunità della crioconservazione detta “sociale” o “volontaria” rileva maggiormente per le donne, in quanto gli ovociti sono per ogni donna determinati nella quantità sin dalla nascita, a differenza degli spermatozoi, che vengono prodotti durante tutta la vita fertile maschile. Perciò la crioconservazione risulta essenziale quando un progetto genitoriale, specialmente femminile, debba, o voglia, essere rimandato nel tempo.

Nell’epoca precedente alla riforma, in Francia era possibile richiedere la crioconservazione dei gameti solamente se fosse sorta una condizione clinica rischiosa per la fertilità (patologia oncologica, traumatica, etc.) o la donna si fosse sottoposta al prelievo degli ovociti per poi donarli [3].

Dal punto di vista dei costi, la riforma dell’agosto 2021 ha stabilito che la stimolazione e il prelievo di gameti (maschili e femminili) saranno a carico della Securité sociale (il sistema pubblico di tutela delle persone dai “rischi sociali”, difficilmente traducibile in italiano in breve), mentre la crioconservazione non potrà essere né rimborsata, né compensata da nessun soggetto terzo (come il datore di lavoro) affinché si possano evitare coercimenti o pressioni in questo senso (art. L. 2141-12).

L’autoconservation des gamètes, detta anche “fertility insurance” (assicurazione sulla fertilità), è un trattamento sanitario originariamente concepito al fine di prevenire l’annullamento della fertilità in alcuni casi limite. Solo nell’ultimo decennio ha visto prevalere la propria dimensione sociale, trasformandosi in un meccanismo di preservazione della fertilità per circostanze personali (mancanza di un partner durante l’età fertile), sociali (precariato lavorativo) ed economiche (disponibilità finanziarie limitate) che costituiscono impedimenti per una gravidanza nell’età fertile. La diffusione del trattamento è positiva se si considera come opportunità, specialmente per le donne, di assumere scelte riproduttive, con l’aiuto delle biotecnologie, anche a fronte di condizioni negative in ambito personale, economico o sociale.

Occorre però riflettere sul dubbio in merito a quale tipo di libertà riproduttiva si concretizzi grazie all’autoconservazione: è eticamente sostenibile il ricorso diffuso a trattamenti ormonali e prelievi ovocitari, pesanti sul piano fisico e psicologico, a fronte di condizioni macroeconomiche, specialmente legate alle politiche del lavoro e del welfare, sulle quali sarebbe, probabilmente, più urgente intervenire?[5]


[1] La crioconservazione è un termine che descrive la procedura in cui le cellule (spermatozoi, ovociti, embrioni) vengono immerse in una soluzione di sali e composti organici (crioprotettore) e portate a temperature molto basse, fino alla conservazione a –196°C in azoto liquido.

[2] Chen C., Pregnancy after human oocyte cryopreservation, in Lancet, 1986, 1(8486), pp. 884-886.

[3] Frydman R., Les principaux points de la bioéthique encadrant la PMA, in B. Bévière-Boyer, D. Dibie, A. Marais (sous direction de), La Bioéthique en débat: le début de la vie, Paris, 2019, 29-30.

[4] Penna T., Il dono di capacità riproduttiva: la PMA con dono di gameti e la GPA negli ordinamenti francese e italiano, Torino-Napoli, 2020, 174-181 (disponibile qui).

Margaret Atwood all’anteprima del Salone del Libro di Torino: consigli di lettura e curiosità sull’autrice.

In occasione del ritorno in presenza del Salone del Libro di Torino (con l’edizione 2021 – Vita Supernova), l’anteprima del Salone avrà degli ospiti di altissimo profilo, tra i quali… Margaret Atwood! L’evento si terrà il 3 ottobre (i biglietti si trovano qui) e sarà un’occasione unica se siete tra coloro che sono finiti catapultati a Galaad grazie alle pagine di Atwood o anche se siete curiosi di scoprire chi si celi dietro a quelle pagine.

Della prolifica autrice canadese avevo già raccontato qualcosa in occasione dell’uscita del graphic novel de “Il racconto dell’ancella” (potete rileggerlo qui). Margaret Atwood, poetessa e scrittrice di origine canadese, ha all’attivo quasi più di 60 creazioni letterarie di diverso genere, incluse la saggistica e la letteratura per bambini.


Giusto qualche mese fa, in occasione del trasloco che mi ha costretta a una poderosa opera di catalogazione del mio patrimonio letterario, ho scoperto di aver letto il primo racconto di Atwood alle elementari, grazie al prezioso fiuto di mia madre. Si tratta de “La Principessa Prunella“, titolo uscito per Mondadori Junior nel 1998. Prunella è la tipica principessa viziata e ossessionata dal proprio aspetto fisico e dalla propria persona in generale. L’incontro con una fata le farà comprendere quanto poco pesi l’estetica nel definire una persona… e quanto invece contino le qualità morali e di relazione con gli altri.

Al di là dell’incontro casuale con questo autentico reperto di editoria per bambine e bambini, posso dire di aver effettivamente scoperto Atwood soltanto nel 2016, grazie a un’amica, che non ringrazierò mai a sufficienza, che mi consigliò di leggere “The Handmaid’s Tale“/”Il raccondo dell’ancella“. Un romanzo distopico pubblicato per la prima volta nel 1985 (in Italia nel 1988) e che ha conosciuto un rinnovato successo grazie alla fortunata omonima serie TV. [Qui potete trovare una super-sintetica recensione del romanzo].

Nel 2019 Atwood ha poi pubblicato il sequel de “Il racconto dell’ancella”, dal titolo “Testamenti” e che, a dispetto di una certa nota tradizione, non ha per nulla deluso i lettori. Voce narrante del romanzo non è più l’ancella Difred/Offred, bensì la temibile e temuta zia Lydia. Testamenti” non tenta di recuperare il percorso compiuto dalla serie TV, quasi completamente autonoma (al netto delle premesse strutturali come la teocrazia totalitaria di Galaad/Gilead e le relative strutture di potere e comando, nonché i fatti prettamente iniziali della storia). La voce di zia Lydia spiega per quale ragione il totalitarismo si sia sfaldato e quali paradossi si siano ingenerati a partire dalla considerazione della donna o come prezioso e puro bocciolo, oppure quale pericolosa minaccia.

Margaret Atwood è una delle scrittrici viventi di narrativa e di fantascienza/narrativa speculativa tra le più premiate e che di recente ha dato alle stampe una nuova attesissima raccolta di poesie: “Moltissimo“. Una prolificità rilevante, soprattutto se consideriamo che l’autrice compirà il prossimo novembre ben 81 anni.

Anni spesi a favore dell’attivismo climatico e femminista, delle scrittura creativa e saggistica, della militanza a favore dei diritti e delle libertà riproduttive delle donne, troppo spesso minacciate da norme inique. La tecnica dell’ambientazione distopica, infatti, risulta preziosa quale lente di osservazione dei giorni contemporanei e, al contempo, quale campanella di allarme rispetti a condizioni sociali e culturali sovente pericolose per la condizione femminile.

Se siete curiose e curiosi di scoprire di più dell’autrice… l’appuntamento è quindi per il 3 ottobre 2021 all’anteprima del Salone del Libro!

La riforma della bioetica in Francia, Parte I. La “PMA pour toutes”.

Il 29 giugno 2021 l’Assemblée Nationale (il Parlamento francese) ha definitivamente approvato, con 326 voti favorevoli e 115 contrari, il progetto di legge in materia di bioetica. Si è trattato di un processo cominciato nel 2018 e che si è articolato in diverse fasi, anche fuori dalle aule parlamentari.

Una premessa è d’obbligo: in Francia le “leggi di bioetica” devono essere sottoposte a un vaglio periodico, affinché non trascorra un tempo eccessivo e le esigenze sociali siano frequentemente sondate e discusse. La prima legge francese di bioetica[1], del 1994, ha previsto quindi che ogni 7 anni si mettesse in atto una revisione della materia. Così è stato e nel 2018 sono iniziati i lavori preparatori, che prevedono anche, e soprattutto, la consultazione della società civile rispetto a temi quali fecondazione assistita, ricerca su tessuti ed elementi del corpo umano (es. embrioni), eutanasia, cure palliative, etc.

I lavori si sono rivelati piuttosto complessi, specialmente per gli interventi decisamente non progressisti proposti nelle letture del Senato francese. In ogni caso, la nuova legge è stata felicemente promulgata il 2 agosto 2021.

Quali sono le principali novità contenute? La prima, che i media impiegano ormai da qualche mese come sinonimo per indicare l’intera legge, è quella della legalizzazione della fecondazione assistita per coppie lesbiche e per donne single (PMA pour toutes – PMA per tutte). La novità, tanto attesa quanto prevista, dovrebbe permettere a migliaia di donne di non recarsi più all’estero alla ricerca di una gravidanza. Più rilevante è il risultato del riconoscimento legale delle famiglie arcobaleno composte da due mamme: prima della riforma, infatti, il riconoscimento del legame di filiazione (madre-figlia/o) non era prevista se non nei confronti della donna che avesse effettivamente partorito.  

La Procréation Médicalement Assistée pour toutes (PMA per tutte) è quindi il perno della riforma, anche perché ha implicato una radicale rivisitazione della funzione stessa della fecondazione assistita. Dal 1994 al 2021, infatti, la fecondazione assistita in Francia era prevista per «remédier à l’infertilité d’un couple ou d’éviter la transmission à l’enfant ou un membre du couple d’une maladie d’une particulière gravité»[2] (“risolvere l’infertilità di una coppia oppure per evitare la trasmissione al nascituro o a un membro della coppia di una malattia di una certa gravità”). La riforma cambia punto di visuale e prevede che la fecondazione assistita sia «destinée à répondre à un projet parental» (“funzionale a realizzare un progetto genitoriale”).

La differenza non è solo terminologica, né risulta di poco peso. Si tratta infatti di svincolare completamente la fecondazione assistita da una premessa patologica, dall’esistenza di un’infertilità biologica-organica, per ancorarla al semplice desiderio di realizzare un progetto parentale… al di là di malattie che affliggano la fertilità o della cosiddetta “infertilità sociale” (la constatazione per cui una coppia dello stesso sesso non possa riprodursi senza l’intervento di una terza persona e/o della scienza).

Come funzionerà nella pratica la PMA pour toutes? Innanzitutto sarà completamente rimborsata dalla Securité sociale (il sistema pubblico di tutela delle persone dai “rischi sociali”, difficilmente traducibile in italiano in breve): le coppie di donne e le donne single che si sottoporranno alle cure, potranno farlo presso gli enti pubblici a titolo gratuito (dietro rimborso). Inoltre la donna che partorirà, si vedrà riconoscere il legame filiazione a mezzo del parto (art. 311-25 Code civil – CC), mentre la partner attraverso una reconnaissance conjointe (riconoscimento congiunto) formulato in anticipo davanti a un notaio (futuri artt. 342-11 e 342-12 CC).

Infine, per tutelare i diritti dei bambini già nati all’estero negli anni passati da una coppia di donne, la riforma prevede che per i prossimi tre anni sarà possibile ricorrere a una reconnaissance conjointe anticipée anche per questi casi. Bambini e bambine spesso chiamati, dai media francesi, “bébés Thalys”, dal nome del treno (il Thalys) che connette Parigi, Bruxelles e Amsterdam. Il Belgio e l’Olanda, insieme alla Spagna, sono infatti le principali destinazioni delle coppie lesbiche, ma anche eterosessuali, alla ricerca delle cure per la fertilità per cui nei Paesi di origine le liste di attesa risultano eccessivamente lunghe.

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[1] Si tratta in realtà di un insieme di tre diverse leggI: la loi n° 94-548 du 1er juillet 1994 relativa al trattamento dei dati personali in ambito di ricerca medica[1], la loi n° 94-653 du 29 juillet 1994 in fatto di rispetto del corpo umano e la loi n° 94-654 du 29 juillet 1994 in materia di dono e utilizzo degli elementi e dei prodotti del corpo umano, di fecondazione medicalmente assistita e di diagnosi prenatale.

[2] Art. L. 2141-2 del Code de la Santé Publique (Codice della Salute Pubblica)

PMA per le coppie di donne e le donne single: il Senato francese approva la proposta.

[“Miniflags” by DocChewbacca is licensed under CC BY-NC-SA 2.0 ]

Una prima tranche di lavori del Senato francese, sulla riforma della bioetica, si è conclusa mercoledì 22 gennaio in tarda serata. Intorno a mezzanotte c’è stata la conferma che il primo articolo del progetto di legge è stato approvato con 160 voti favorevoli e 116 contrari.

Il Senato ha quindi avallato la proposta dell’Assemblée Nationale, aprendo la strada alla

PMA per le coppie di donne
e per le donne single
(nota in Francia come PMA pour toutes)!

Agnès Buzyn, Ministro della salute in Francia, ha sottolineato come quest’apertura possa

« shockare qualcuno per delle ragioni culturali, ma essa non modifica i principi fondamentali delle nostre leggi in materia di bioetica, tra i quali rilevano il divieto di commercializzazione del corpo umano, la dignità del corpo umano e il dono su base altruistica ».

Contro questa parte della riforma si sono mobilitate una ventina di associazioni, allineatesi nei ranghi capitanati dalla Manif pour Tous, una lobby creata in Francia nel 2012, al fine di contrastare l’allora progetto di legge noto come Mariage pour Tous, poi approvato nel 2013. La Manif osteggia sistematicamente non solo il matrimonio omosessuale, ma anche qualsiasi forma familiare che non rientri nello schema eterosessuale tradizionale, giungengo a sostenere l’esistenza di un complotto a sostegno della diffusione dell’ “ideologia gender“. Domenica 19 gennaio a Parigi la Manif pour Tous, insieme ad alcune associazioni sue satelliti, è riuscita a radunare circa 40mila manifestanti al grido di: «PMA, GPA, on n’en veut pas» (opposizione assoluta a ogni forma di Procreazione Medicalmente Assistita e Gestazione per Altri).

Le voci contrarie si sono comunque levate anche in aula, dove Guillaume Chevrollier (Les Républicains) ha domandato ai colleghi:

« quale avvenire può prospettarsi per i bambini privati di un padre? ».

Anche Philippe Bas (Les Républicains) ha desiderato mettere in luce

« la spaccatura che si crea nella personalità in formazione di un bambino che diventa adolescente, che poi diventa adulto, quando questa mancanza che si crea in lui non riesce a trovare risposta ».

Non solo, perché il senatore Alain Richard (La République en marche, ma già Ministro della difesa negli anni ’90 tra i ranghi del partito socialista) ha dichiarato:

« io ho votato a favore del matrimonio tra persone dello stesso sesso perché reputavo utile, necessario, il riconoscimento sociale di altre coppie, ma non credo di poter votare a favore di un’evoluzione molto più profonda del genere umano, su cui, io ritengo, la ragione debba trattenerci».

 

In ogni caso il Senato francese ha rifiutato di includere la PMA pour toutes tra le prestazioni a carico del sistema sanitario pubblico (Sécurité sociale), al quale saranno addebitati esclusivamente i percorsi di PMA fondati su un criterio patologico. Criterio che il Senato ha voluto strenuamente mantenere anche per quanto riguarda la coppie eterosessuali, a differenza di quanto fortemente richiesto dal Governo. Quest’ultimo avrebbe infatti preferito cancellare l’esistenza di una patologia come elemento necessario all’accesso a un percorso di PMA.

La PMA pour toutes rientrava tra le promesse elettorali formulate tra il 2016 e il 2017 dal Presidente Emmanuel Macron, benché i tempi per la riforma si siano notevolmente dilatati rispetto alle previsioni iniziali. L’esame del Senato dovrà prendere in considerazione ben 275 emendamenti presentati negli scorsi giorni. Tra i temi più caldi rimarrà la questione del modo in cui stabilire il legame di filiazione tra la coppia e il/la bambino/a. Questione che si porrà anche rispetto alle coppie eterosessuali. Alla fine dell’esame del Senato, il progetto dovrà tornare al vaglio dell’Assemblée Nationale, che avrà l’ultima parola in materia.

 

 

 

Lo stupro come arma di guerra: perché la risoluzione ONU appena approvata è già stata indebolita?

Tra le accuse che più sovente vengono rivolte alle donne che militano e combattono per i propri diritti vi è quella di non essere mai contente.
Contente” nel senso etimologico più puro, dal latino “contentus”: pago, soddisfatto.
La realtà è che con altrettanta frequenza i diritti (non solo femminili) vengono depotenziati dalle fondamenta con quelle che vengono fatte apparire
come questioni di lana caprina.

L’esempio di oggi? La risoluzione approvata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (ONU) in materia di violenza sessuale nel corso di conflitti. In particolare, la risoluzione ha come obiettivo quello di combattere lo stupro come arma di guerra. L’approvazione del documento è avvenuta con 13 voti favorevoli e 2 astenuti (Russia e Cina).

Di per sé la notizia dovrebbe rincuorare, per quanto i detrattori siano pronti a contestare come simili documenti finiscano con il rimanere per lo più programmatici e di poco impatto. Tuttavia negli scorsi giorni gli Stati Uniti avevano minacciato di porre il proprio veto sull’approvazione del documento. Perché? Perché i riferimenti agli “health services” (servizi sanitari) e alla “sexual and reproductive health” (salute sessuale e riproduttiva) avrebbero implicato inevitabilmente il ricorso all’interruzione di gravidanza per le donne vittime di stupro durante un conflitto. Implicazione che risulterebbe eticamente accettabile secondo i più e secondo chi scrive, ma che per gli Stati Uniti avrebbe avuto conseguenze inaccettabili.

L’avvocata per i diritti umani Amal Clooney, ha sottolineato al Consiglio di Sicurezza come gli Stati chiamati a votare

“debbano la risoluzione alle migliaia di donne e ragazze che hanno guardato i membri dell’ISIS radersi via le barbe e tornare alle loro routine di vita mentre le vittime non potranno mai farlo”

(qui trovate il video). L’avvocata ha parlato in rappresentanza delle vittime yazide di stupri perpetrati come armi di guerra, spronando a mantenere intatto il riferimento alla salute sessuale e riproduttiva. Insieme a lei si erano schierati anche i Nobel per la pace Nadia Murad e Denis Mutwege, durante una riunione tenutasi con il segretario generale dell’ONU Antonio Guterres. Quest’ultimo si era schierato apertamente affinché

“la risposta globale [allo stupro come arma di guerra] [dovesse] garantire la punizione degli autori e il sostegno completo ai sopravvissuti”.

Tuttavia ciò non è bastato.
La risoluzione è effettivamente stata approvata, ma ogni riferimento ai “servizi sanitari”, nonché alla “salute sessuale e riproduttiva” delle donne vittime di stupro in conflitto è stato rimosso. Gli Stati Uniti hanno dunque riportato un’effettiva vittoria, indebolendo notevolmente il portato della risoluzione. In questo modo il documento risulta del tutto depotenziato, non garantendo alle vittime di stupro il ricorso all’interruzione di gravidanza. Inoltre la risoluzione risultava già privata della parte relativa all’istituzione di un nuovo meccanismo di monitoraggio e vigilanza delle violenze sessuali durante i conflitti. Parte rimossa a causa della posizione contraria non solo degli Stati Uniti, ma anche della Russia e della Cina.

Appare assurdo pensare dunque di tutelare le vittime di violenza sessuale durante un conflitto, senza poter garantire al contempo debite cure mediche in ambito sessuale e riproduttivo, specialmente si si considera con lucida attenzione come le vittime siano spesso oggetto di atroci mutilazioni, oltre che di aggressioni fisiche e psicologiche. Anche oggi, pertanto, non ci si può ritenete contenti, soddisfatti da uno strumento che avrebbe potuto offrire tutele, ma che appare fortemente depotenziato e non in grado di assicurare anche solo in parte di ristorare la salute di chi è stato o stata vittima di violenze sessuali durante una fase di guerra.

Per essere contenti e contente, servirebbe ben altro…

La Giornata Internazionale contro le mutilazioni genitali femminili.

[Image Courtesy of Newtown grafitti ]

Il 6 febbraio ricorre la Giornata Internazionale
contro le mutilazioni genitali femminili.

Un tema che riguarda il diritto, ma prima ancora l’antropologia e quindi il ruolo della cultura (in senso ampio) rispetto a una data società.

Ma in che cosa consistono le FGM (dall’inglese female genital mutilation)?

Si tratta di quelle  procedure che hanno per scopo l’alterazione o il danneggiamento dei genitali femminili per ragioni non mediche e che, a livello internazionale, sono riconosciute come violazione dei diritti umani delle donne e delle ragazze.

Le ragioni per le quali le FGM sono realizzate sono numerose e di diversa natura:

  • sessuali, quando sono volte a soggiogare o sminuire la sessualità femminile;2000px-No-FGM.svg.png
  • sociologiche, quando sono legate al bisogno di una comunità di riconoscersi attraverso riti di iniziazione, attraverso i quali le giovani sonointegrate e la comunità rimane unita;
  • igieniche ed estetiche, nei casi di quelle culture 

    nelle quali i genitali femminili esterni sono ritenuti osceni o veicolo di infezioni;

  • sanitarie, in quanto in alcune società è radicata l’idea che la mutilazione aumenti la fertilità della donna e/o la salute del nascituro;
  • religiose, in quanto pratiche che si ritengono dettate da testi religiosi (Corano).

 

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha suddiviso le FGM  in quattro categorie a seconda del grado di gravità:

  • la clitoridectomia o escissione della clitoride (tipo I): si tratta dell’asportazione parziale o integrale della clitoride al fine di eliminare la sensibilità erogena

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    principale dal corpo della donna;

  • l’escissione o asportazione (tipo II) della clitoride e delle piccole labbra, che talvolta coinvolge anche la parziale rimozione delle grandi labbra;
  • l’infibulazione (tipo III), vale a dire l’asportazione della clitoride, delle labbra (piccole e grandi), nonché la cauterizzazione e la cucitura della vulva lasciando spazio alla sola fuoriuscita di urina e sangue mestruale;
  • altre pratiche di mutilazione genitale non classificate come l’uso di piercing, la cauterizzazione e l’incisione o rimozione di parti della vulva, nonché l’uso di acidi (tipo IV).

Simili pratiche non incidono esclusivamente sulla sessualità, ma più in generale sulla salute globale della donna. Al di là dell’enorme danno psicologico, l’impiego di strumenti rudimentali e il mancato rispetto di qualsiasi norma igienica possono implicare l’insorgenza di molteplici conseguenze. Le infezioni causate dai tagli e dalle suture comportano infatti complicazioni che riguardano le vie urinarie e la fertilità delle donne che subiscono simili atrocità. Non solo, perché l’escissione della clitoride può causare la formaizone di un neuroma traumatico, cioè di un insieme di fibre nervose che rendono la benché minima stimolazione dell’area terribilmente dolorosa. Tutto ciò ammettendo che l’esecuzione di una di queste operazioni non provochi emorragie o infezioni di per loro fatali. In caso di sopravvivenza, al dolore atroce associato ai rapporti sessuali si aggiungono rischi di ritenzione urinaria (incapacità della vescica di svuotarsi) e di cistiti croniche.

 

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Secondo l’OMS più di 200 milioni di ragazze e donne convivono oggi con una mutilazione di questo tipo. Persone che si trovano per lo più in 30 Paesi disseminati tra africa, Medioriente e Asia, anche se simili pratiche vengono poste in essere clandestinamente anche in Occidente.

A livello internazionale la lotta contro le mutilazioni genitali femminili è condotta dall’OMS insieme all’Unicef e al Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (UNFPA). In Italia il Parlamento tutela le donne dal 2006 (Legge 7/2006), anche grazie allart. 583-bis c.p. che punisce con la reclusione da quattro a dodici anni chi, senza esigenze terapeutiche, cagiona una mutilazione degli organi genitali femminili.

L’importanza della tematica e la necessità di tutelare le ragazze esposte al pericolo delle mutilazioni ha fatto sì che il Time abbia riconosciuto un’attivista Maasai tra le 100 persone più influenti al mondo nel 2018 (qui potete trovare l’articolo). L’attivista è Nice Nailantei Leng’ete, ragazza sfuggita a 9 anni al taglio nel proprio villaggio e che da adulta ha intrapreso un’azione pervasiva di negoziazione con le guide dei villaggi africani al fine di individuare riti d’iniziazione diversi dalle mutilazioni.

Il percorso verso l’eliminazione di simili pratiche è ancora lungo e non libero da ostacoli, considerato come il sottrarre le donne a questi riti costituisca un autentico pericolo per la loro incolumità e per la coesione della comunità cui apprtengono. Ciò non significa che le FGM vadano tollerate, ma che la complessità delle relazioni in cui si inseriscono renda impossibile prevederne un contrasto che non passi da una profonda trasformazione del ruolo della donna e della sua libertà sessuale.

 

I 70 anni della Dichiarazione Universale dei diritti umani e i diritti riproduttivi.

Oggi ricorre la Giornata mondiale dei Diritti Umani. Inoltre la Dichiarazione Universale, dalla quale la giornata trae origine, compie proprio quest’anno 70 anni.

L’Assemblea Generale dell’ONU ha infatti proclamato la Dichiarazione
il 10 Dicembre 1948.

Voi sapete che cosa sono i diritti umani?

Se avete qualche dubbio, sappiate che si tratta di quei diritti riconosciuti all’uomo in base alla sua semplice appartenenza al genere umano.
L’idea non è nata in tempi recenti, ma è stata formalizzata soltanto dopo la Seconda Guerra Mondiale. Infatti, gli orrori perpetrati nei campi di sterminio e la morte di 50 milioni di persone resero indispensabile l’adozione di uno strumento giuridico in grado di salvaguardare i diritti fondamentali e la dignità di ciascuna persona senza distinzione «di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione» (art. 1 della Dichiarazione Universale).

Negli anni questi diritti sono divenuti sempre più articolati e specifici, fino a comprendere i diritti riproduttivi, cioè i diritti legati alla salute sessuale e riproduttiva.

Questo aspetto della salute riguarda prima di tutto la possibilità degli individui e delle coppie di decidere responsabilmente e liberamente il numero di figli da concepire, ma anche il momento e il luogo nei quali farlo. Non solo, perché a tutti gli individui andrebbe garantito l’accesso a complete informazioni e adeguati mezzi per poter assumere decisioni realmente libere in ambito riproduttivo. Ciò significa, inoltre, che a ciascun soggetto andrebbe assicurato il più alto livello di salute sessuale, oltre che riproduttiva.


Vi sembrano concetti molto astratti e remoti
?

Non è strano che sia così, perché i trattati internazionali impiegano normalmente un linguaggio astratto e generico, il modo da includere il maggior numero di situazioni e circostanze possibili. Queste ultime, spesso, sono molto lontane da quello che è il comune vivere occidentale, specialmente per chi può contare su disponibilità economiche di medio-alto livello.

In ogni caso, il concetto di salute riproduttiva è stato sviluppato sul piano legale come connesso alla vita della donna, vista la sua possibilità biologica esclusiva di  poter formare nel proprio corpo una nuova vita.

Esistono numerosi esempi di come la salute sessuale e riproduttiva sia messa a rischio:
– il rifiuto di permettere alla donna l’accesso a servizi sanitari (come l’obiezione di coscienza rispetto all’interruzione volontaria di gravidanza, in assenza di un medico che sostituisca l’obiettore),
– la bassa qualità, o assenza totale, di servizi sanitari pubblici, che espongono la donna alla necessità di rivolgersi ad attività clandestine,
– le mutilazioni genitali femminili,
– la sterilizzazione forzata,
– l’interruzione di gravidanza forzata,
– le condizioni di abuso vissute dalle spose bambine.

Alla base di queste violazioni vi è l’idea che il valore di una donna dipenda alla sua capacità di riprodursi, ma non solo. In alcuni Paesi a ciò si aggiunge la necessità di concepire un figlio maschio (necessità nella forma di forte pressione sociale o addirittura in forma di legge). Così, ragazze e donne si trovano costrette a subire gravidanze ripetute, spesso ravvicinate, o interruzioni di gravidanza selettive (come avviene nei Paesi dell’Asia orientale e meridionale, in Medio Oriente e nel Nord Africa).

Perché quindi dedicare qualche riga per ricordare come i diritti riproduttivi e sessuali siano a tutti gli effetti dei diritti umani? Perché troppo spesso si dimentica, o s’ignora in modo del tutto volontario, come la sessuale e riproduttiva costituisca a tutti gli effetti una forma di diritto alla salute e come rientri, più in generale, nella sfera di autonomia privata della donna.

Da questo punto di vista ho in mente tre approfondimenti mirati (a puntate). Vi racconterò in che modo i diritti riproduttivi si sono affermati come diritti umani, come questi ultimi abbiano accolto una prospettiva femminista e, non ultimo, quale sia l’origine storica e politica del diritto alla salute.

 

Curiosi? Spero di sì!
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P.s. In merito al 70° anniversario della Dichiarazione, questo è il video di Michelle Bachelet, Alta Commissaria per i diritti umani:

 mentre questo è il video di António Guterres, Alto Segretario dell’ONU: