“Bioetica e tutela degli animali: un ritorno alle origini per guardare al futuro”

” La “bioetica” nasce in origine come “scienza della sopravvivenza” dell’essere umano alle conseguenze delle sue stesse azioni sulla natura. Oggigiorno però, una prospettiva che consideri la vita umana al di sopra delle altre non è più accettabile e la fauna necessita di un riconoscimento etico, nell’ambito di un lavoro interdisciplinare che integri scienze dure e scienze umane.

Quando si pensa alla bioetica il riferimento corre subito a una disciplina fortemente incentrata sull’essere umano. Fecondazione assistita, trapianto di organi ed eutanasia sono alcuni dei temi più evocativi, di cui abbiamo parlato in Dono di capacità riproduttiva: un modello per il diritto di famiglia e Il fine vita tra morale, tecnologia e diritto: la società non può attendere. La bioetica, tuttavia, ha delle origini molto più ampie e peculiari.

Convenzionalmente si attribuisce la paternità del nome bioethics a Van Rensselaer Potter, biochimico statunitense impegnato nella ricerca oncologica nei primi anni ’70 del secolo scorso. A onore di precisione, un primo articolo dal titolo Bio-Ethics: A Review of the Ethical Relationships of Humans to Animals and Plants era stato pubblicato già nel 1927, dal filosofo Fritz Jahr. Jahr costruì un “imperativo bioetico” di matrice kantiana, con conseguenti obbligazioni morali nei confronti di ogni forma di vita, umana e non. Il pensiero di Jahr non ebbe grande successo, ma delle importanti eco si rintracciano nel lavoro di Van Rensselaer Potter, specialmente nell’articolo Bioethics. The science of survival (1970) e nel libro Bioethics. Bridge to the future (1971).

La premessa del pensiero di Van Rensselaer Potter può essere riassunta nella preoccupazione etica, specialmente in chiave intergenerazionale, riguardo al crescente impatto delle tecnologie umane sull’ambiente, inteso come insieme di elementi animati e non. Mancavano nella società sia una coscienza etica collettiva, sia una conoscenza solida delle possibili conseguenze di un intervento massivo su fauna e flora da parte dell’essere umano. Per Potter era necessario acquisire una nuova consapevolezza dei rischi ambientali, rivolta a garantire un futuro alla specie umana (da cui science of survival, ossia “scienza della sopravvivenza”).
Come? Grazie a una convergenza di saperi e sforzi tra scienze umane e scienze dure, tra etica e biologia, tanto per lo studio dei fenomeni nocivi per l’ambiente, quanto per la ricerca di soluzioni efficaci.

Oggi più di allora è importante tornare a questa accezione di bioetica “delle origini”, ma con un senso più ampio. Una bioetica che sia volta alla ricerca di soluzioni per la sopravvivenza non solo dell’essere umano, ma di tutte le componenti della biosfera e in particolare delle specie selvatiche. Oltre che per l’ambito della ricerca scientifica, questo approccio può rivelarsi una scelta fruttuosa anche per la divulgazione, che può accrescere la consapevolezza della società sulle minacce alla biodiversità e sulle possibili azioni conservative da attuare a livello individuale, e per la costruzione di valide politiche pubbliche, che troppo spesso sono ancora cieche alle evidenze scientifiche più supportate.

In conclusione, se l’impostazione iniziale della bioetica aveva comunque il suo focus sull’essere umano e sulla sua sopravvivenza, oggigiorno non è più eticamente accettabile la prospettiva di preminenza della vita umana sulle altre. Quindi, se da un lato la preservazione della fauna è stata raccontata negli ultimi due anni come necessità per evitare nuove zoonosi (il salto di specie di un agente patogeno, come è stato per Sars-CoV-2), dall’altro appare imprescindibile abbandonare questa visione utilitaristica. Nell’Antropocene, infatti, un metodo di ricerca e di definizione di politiche pubbliche orientato alla valorizzazione del solo vissuto umano non appare più condivisibile e la fauna necessita indubbiamente di un riconoscimento etico, nell’ambito di un lavoro interdisciplinare di integrazione dell’etica, delle scienze dure e del diritto.”

[Articolo originariamente pubblicato come Racconto di Ricerca sul Forum di Ricerca dell’Ateneo di Torino (FRidA) e collegato a un precedente post del blog, che trovate qui]

Il Senato francese frena sulla riforma: stop al doppio dono e all’autoconservazione di gameti.

[“French Senate, Main Assembly Hall” by Pierre Metivier is licensed under CC BY-NC 2.0 ]

Dopo un primo momento di palpabile entusiasmo rispetto alle posizioni del Senat in Francia, i sostenitori di una riforma più radicale del sistema bioetico hanno subìto una forte delusione. La maggioranza repubblicana ha infatti posto il veto su due grandi temi: da un lato il doppio dono di gameti, mentre dall’altro l’autoconservazione dei gameti.

Il doppio dono di gameti è un trattamento che consiste nel ricevere un dono sia di spermatozoi, sia di ovociti al fine di ottenere un concepimento. L’autoconservazione, invece, consiste nella scelta di crioconservare (“congelare”) spermatozoi od ovociti a prescindere dall’esistenza di un criterio patologico. In Francia, infatti, è possibile richiedere la crioconservazione soltanto quando la persona interessata sia affetta da una patologia che possa inficiarne la fertilità (come nel caso di patologie oncologiche che richiedano terapie chemio/radioterapiche).

Rispetto al doppio dono è cruciale ricordare come in Francia sia invece già possibile adottare un embrione, così come, in modo speculare, per una coppia è possibile dare in adozione un embrione (tra quelli c.d. soprannumerari, cioè creati nel corso di una PMA, ma non trasferiti nell’utero della donna). Va da sé che il legame genetico tra coppia adottante ed embrione è inesistente. Per questo le ferree opposizioni di alcuni senatori al doppio dono appaiono faziose e infondate.

Come nel caso del senatore Dominique de Legge (Les Républicains LR), che vede nell’apertura al doppio dono

« una rottura biologica » a fronte del fatto che « fino a oggi la legge vietava il doppio dono per far sì che il bambino sia sempre legato biologicamente almeno a uno dei due membri della coppia ».

Anche Bruno Retailleau (presidente del gruppo LR al Senat) ha sostenuto che

se il legame “di sangue” venisse eliminato, ciò “potrebbe porre delle gravi questioni” rispetto alla filiazione, nonché aprire a “innumerevoli possibilità”, allorché la legge mira a  “mantenere almeno un legame biologico tra bambino e genitori”.

Se alcuni senatori sembrano ignorare come anche nell’adozione di embrione (legale da quasi 10 anni in Francia) il legame genetico sia interrotto con entrambi i genitori, lo stesso non si può dire per la Ministra della salute, Agnès Buzyn. Quest’ultima ha ricordato come

« sia inevitabile constatare » che nei casi di doppia infertilità di coppia, le coppie
« non sono propense ad adottare un embrione provieniente da un altro progetto familiare » e che infatti solo « una ventina di bambini nascano ogni anno a fronte di 10.000 embrioni crioconservati ».

 

Per quanto riguarda invece l’autoconservazione dei gameti, in Senato nella giornata di giovedì 23 gennaio si è svolta una vicenda quanto meno singolare. In un primo momento i senatori si sono opposti all’eliminazione, dal progetto di legge, dell’articolo relativo all’autoconservazione, con 178 voti contro l’eliminazione, 109 a favore e 26 sostenuti. Successivamente, nel corso di un voto a scrutinio pubblico sull’articolo, 119 senatori hanno votato a favore e altri 199 contro. Questa perfetta uguaglianza ha comportato il rigetto dell’articolo. Inoltre, ben 24 senatori della République en Marche si sono astenuti, nonostante nella campagna elettorale del 2016-2017 il tema fosse stato ampiamente sostenuto dal partito di Emmanuel Macron.

In ogni caso, il dibattito al Senat si è concentrato su due filoni di pensiero tradizionali in relazione alla scelta di crioconservare i gameti, in assenza di una malattia che minacci la fertilità. Da un lato si sono alzate dunque le voci di chi si dichiara garante della libertà di scelta delle donne, mentre dall’altro dei detrattori della cattiva influenza della pressione sociale (specialmente subìta dalle donne che lavorano in aziende che scoraggiano la maternità).

La commissione speciale del Senato aveva inizialmente votato a favore dell’autoconservazione e la relatrice Muriel Jourda (Les Républicains) aveva sottolineato la sensatezza della riforma perché in sede di esame della proposta, nel dialogo con le associazioni di pazienti, era emerso come a richiedere l’autoconservazione fossero nella maggior parte dei casi donne in difficoltà a trovare partner pronti ad affrontare un progetto genitoriale.

La presidente del gruppo misto, Eliane Assassi, ha utilizzato invece toni più aspri e ha inteso mettere in guardia

« le persone che agiranno sotto la pressione della società, che veicola un obbligo alla maternità, perché non tutte le donne saranno appagate dall’aver raggiunto lo status di madri ».

Le questioni del doppio dono e dell’autoconservazione dovranno dunque tornare al vaglio dell’Assemblée Nationale, che si era espressa alla fine del 2019 a favore di entrambe le proposte.

 

Gestazione per Altri: che cosa ha detto davvero la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo?

Come spesso accade quando si ha a che fare con temi scottanti sul piano morale o etico, le pronunce di organi di giustizia tendono a essere enfatizzate oltre ai loro reali limiti. In questo caso il riferimento va alla notizia, riportata dalle maggiori testate nazionali, secondo cui la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Corte EDU) avrebbe “stabilito il diritto” per i genitori d’intenzione di vedersi riconoscere un legame di filiazione verso il bambino nato all’estero da una gestante, da una “madre surrogata”. Non solo, ciò sarebbe avvenuto in una storica “pronuncia”.

Innanzitutto la Corte EDU ha pubblicato il solo comunicato stampa di quello che sarà un parere e non una sentenza. Si tratta di un elemento fondamentale, dato che la Corte ha esecritato proprio in questa occasione la sua nuovissima funzione consultiva. Una funzione prevista da Protocollo addizionale n. 16, entrato in vigore il 1° agosto 2018. In sintesi, dall’estate scorsa è possibile per le corti nazionali richiedere alla Corte Edu pareri in merito a questioni di principio riguardanti l’interpretazione o l’applicazione dei diritti e delle libertà stabiliti nella Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo… mentre la causa nazionale è ancora pendente davanti alla corte richiedente.

Al di là di questa parentesi più tecnica, quale Paese ha  depositato la prima richiesta di parere? È stata la Corte di Cassazione francese, con l’Arrêt n. 638 du 5 octobre 2018, in riferimento a un noto caso di Gestazione per Altri (GPA), riguardante la famiglia Mennesson. Un caso durato 15 anni e dai risvolti giudiziari molto complessi, al quale dedicherò un articolo a parte!

Per tornare alla notizia un po’ travisata, la Corte EDU ha dunque esposto nel comunicato stampa le proprie posizioni circa le due questioni sollevate dalla Corte di Cassazione francese. Quest’ultima ha posto le domande rispetto ai casi nei quali un bambino nato da GPA all’estero si veda riconosciuto il legame di filiazione con il padre d’intenzione (per cui ci sia un legame genetico tra padre e figlio), ma dall’altro sia stato concepito da una donatrice di gameti. In queste circostanze la Corte di Cassazione ha chiesto se:

  1. il diritto al rispetto della vita privata (art. 8 della CEDU) del bambino implichi che sia riconosciuto anche il legame di filiazione con la madre d’intenzione, in qualità di madre legale... e la Corte EDU ha risposto in senso positivo.
  2. il diritto al rispetto della vita privata del bambino permetta di riconoscere il legame di filiazione con la madre legale attraverso l’adozione del bambino e non con la trascrizione diretta dell’atto di nascita formato all’estero.. e la Corte EDU ritiene che il diritto del bambino possa essere tutelato anche attraverso l’adozione!

Questo significa che no, la Corte EDU non ha sancito e creato un nuovo diritto attraverso una sentenza (cosa per altro impossibile)! La Corte non apre in alcun modo al diffondersi della pratica della GPA in modo incondizionato in Europa, ma si limita a valutare l’impatto di determinate norme nazionali sullo stato di salute dei diritti di un bambino nato da GPA all’estero. In ogni caso, per approfondire le ragioni della Corte sarà necessario attendere la pubblicazione del parere nella sua integralità… anche nell’attesa di scoprire la forma definitiva della riforma delle leggi di bioetica in Francia!

Gli albori della bioetica: l’essere umano e l’ambiente.

Dopo un mese di assenza, eccomi di nuovo qui a parlarvi di bioetica
da dottoressa di ricerca !
L’ultimo mese è stata un’autentica corsa sulle montagne russe, ma finalmente l’ambito titolo è stato conquistato e potrò tornare a occuparmi anche del blog.

 

Da dove ri-partire, quindi? Proprio dalla storia della bioetica, riprendendo quello che vi ho provato a raccontare in World Philosophy Day 2018: Bioetica, questa sconosciuta..

 

Si è detto che nel decennio 1965-1975  lo sviluppo tecnologico iniziò a rivolgersi all’essere umano, rendendo possibili interventi medici sul corpo umano prima nemmeno immaginabili. Il biochimico statunitense Van Rensselaer Potter inventò in quel periodo il termine «bioethics» per descrivere il ponte tra scienza ed etica, che avrebbe dovuto condurre il genere umano verso il futuro.  Potter cominciò a proporre la nozione di bioetica nel 1970, in un famoso articolo dal titolo “Bioethics: The Science of Survival” (Bioetica: la scienza della sopravvivenza), mentre l’anno seguente pubblicò l’opera completa contenente la propria teoria (“Bioethics: Bridge to the Future“, disponibile nella versione italiana per Sicania editore).

 

Qual era dunque l’idea di fondo di Van Rensselaer Potter?

Diversamente da ciò che si potrebbe pensare, il rapporto tra essere umano e medicina non era di per sé al centro delle riflessioni del biochimico. Il cuore dell’opera è infatti dedicato a dimostrare quanto sia pericolosa l’ignoranza che riguarda l’uso della tecnica e della tecnologia. Potter temeva gli effetti della loro applicazione sul lungo periodo, auspicando quindi la formazione di una coscienza etica collettiva, di un senso del limite da esercitarsi rispetto al progresso.

 

Concetti troppo astratti?

Secondo il biochimico era dunque indispensabile una “biological wisdom“, una consapevolezza dei rischi dell’azione dell’uomo sull’ambiente in generale, al fine di garantire un futuro al genere umano. Serviva perciò “la conoscenza di come usare la conoscenza”, visto che

« per quanto riguarda il resto della natura, [noi esseri umani] siamo come un cancro le cui strane cellule si moltiplicano senza restrizione ».

Questa affermazione del biologo marino Norman Berrill fondò il pensiero di Potter. Il biochimico riteneva infatti che l’istinto di sopravvivenza del genere umano non fosse più sufficiente e a entrare in gioco dovesse essere una vera e prorpia scienza della sopravvivenza.

In particolare, il biochimico aveva concentraro i propri studi in materia oncologica, arrivando a individuare i danni provocati dall’ inquinamento ambientale sulla salute umana.

«  La nostra era ha scoperto come far divorziare la conoscenza dal pensiero, col risultato che abbiamo, in realtà, una scienza che è libera, ma non ci è rimasta quasi nessuna scienza in grado di riflettere »

sostenne il medico franco-tedesco Albert Schweitzer, citato da Potter. Perciò appariva indispensabile ri-pensare l’azione umana, interrogandosi su come limitarne la portata sulle altre specie viventi e sull’ambiente circostante. L’assunto di base era che la possibilità di fare qualcosa non rendesse di per sé quel qualcosa accettabile sia sul piano morale, sia su quello scientifico. Ecco quindi il ponte tra etica e scienza.

 

Che cosa può quindi rimanerci da un primo approccio all’opera fondativa della bioetica, nella quale il termine stesso “bioethics” è stato coniato?

 

Da un lato lo stimolo a una costante messa in discussione di tecniche e tecnologie rispetto alle proprie condizioni e conseguenze. Dall’altro la consapevolezza assoluta dei pericoli che il genere umano pone in essere nei confronti delle altre specie viventi e dei loro ecosistemi. Elementi che oggi più che mai non possono essere minimizzati.

Infine, sembra interessante riflettere su alcune idee date per scontate nnell’immaginario collettivo. Si ritiene infatti che la bioetica sia nata avendo per obiettivo la tutela dell’essere umano rispetto all’impiego delle tecniche e delle tencologie su se stesso. In realtà, come abbiamo visto, l’obiettivo di Potter era quello di ri-mettere in discussione sì l’uso degli strumenti tecnici, ma nel più ampio contesto dell’ambiente in cui l’uomo vive.

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RIFERIMENTI :

  1.  V. R. Potter, Bioethics: The Science of Survival, in Perspectives in Biology and Medicine, 14 (1970).
  2.  V. R. Potter, Bioetica: ponte verso il futuro, Sicania, Messina, 2000 (ed. it.);
  3.  N. J. Berrill, Man’s Emerging Mind,New York: Dodd, Mead and Co., 1955;
  4.  A. Schweitzer, An Anthology, Beacon Press, 1948.

World Philosophy Day 2018: Bioetica, questa sconosciuta.

Oggi, 15 novembre, si celebra il World Philosophy Day 2018. Una ricorrenza inaugurata dall’Unesco nel 2002 per promuovere il dibattito filosofico come forma di cultura internazionale. Una cultura che ha permesso la formazione dei principi e dei valori fondamentali delle nostre società, come la democrazia, l’uguaglianza e i diritti umani.

Per l’Unesco la Giornata Mondiale della Filosofia è quindi l’occasione per favorire il dialogo tra conoscenze normalmente distanti per tradizione o tematiche. Quale momento migliore, allora, per parlare di bioetica?

Perché la bioetica è un sapere molto particolare: uno spazio di incontro tra diverse discipline. Simile a una stanza comunicante con più appartamenti, dove i vari inquilini si ritrovano portando ciascuno un proprio contributo per una festa a tema. Che si tratti di nascita, di trattamenti sanitari invasivi o di morte… ciascun invitato offre sempre il proprio personale punto di vista. Medicina, biologia, biotecnologia, diritto e filosofia sono i principali protagonisti, ma capita spesso che intervengano anche l’economia e alcune branche dell’ingegneria.

Ma quando e come è nata questa disciplina tanto chiacchierata, ma poco conosciuta?

Nel decennio 1965-1975,  lo sviluppo tecnologico iniziò a rivolgersi all’essere umano, permettendo interventi sul corpo prima inimmaginabili. Si fece perciò spazio la riflessione filosofica sul rapporto tra tecnologia e corpo umano, lasciando gradualmente in disparte la relazione tra medico e paziente. Così nel 1971 il biochimico statunitense Van Rensselaer Potter coniò il termine «bioethics», come «ponte verso il futuro».

Il futuro di Van Rensselaer Potter è oggi sia il nostro passato (si è capito come concepire esseri umani in laboratorio), sia il nostro presente (è moralmente accettabile chiedere una morte dignitosa?), così come il nostro futuro (alcuni scienziati sono riusciti a far nascere un topo figlio di due esemplari dello stesso sesso).

Inoltre, la bioetica tradizionale non è solo un dialogo tra diverse discipline, ma anche un tipo di ragionamento che procede per via deduttiva alla soluzione di casi medici estremihard cases») dal punto di vista clinico e morale. Per questa ragione la bioetica tende a non essere considerata in modo unanime un pensiero “critico” e quindi a essere contestata perché priva di rigorose premesse.

Il dibattito pubblico e quello politico tendono però a semplificare lo scenario.  Il riferimento va quindi a diverse bioetiche, confondendo quindi una determinata posizione ideologica o religiosa con l’intero spazio di confronto. Questa confusione tende a polarizzare il dialogo, impedendo di accogliere delle soluzioni razionalmente condivisibili al di là delle posizioni ideologiche individuali.

Qualche esempio? Una sezione specifica di Penna Vagante è già in fase di costruzione, per passare dalla teoria alla pratica!

Per ora potete consultare il programma del World Philosophy Day 2018 cliccando qui, le cui celebrazioni principali si tengono a Parigi presso la sede dell’Unesco. In quest’occasione due anni ha avuto la possibilità di partecipare come volontaria per animare una Nuit de la Philosophie  ricca di performances artistiche, di letture e di dibattiti.

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