Gli albori della bioetica: l’essere umano e l’ambiente.

Dopo un mese di assenza, eccomi di nuovo qui a parlarvi di bioetica
da dottoressa di ricerca !
L’ultimo mese è stata un’autentica corsa sulle montagne russe, ma finalmente l’ambito titolo è stato conquistato e potrò tornare a occuparmi anche del blog.

 

Da dove ri-partire, quindi? Proprio dalla storia della bioetica, riprendendo quello che vi ho provato a raccontare in World Philosophy Day 2018: Bioetica, questa sconosciuta..

 

Si è detto che nel decennio 1965-1975  lo sviluppo tecnologico iniziò a rivolgersi all’essere umano, rendendo possibili interventi medici sul corpo umano prima nemmeno immaginabili. Il biochimico statunitense Van Rensselaer Potter inventò in quel periodo il termine «bioethics» per descrivere il ponte tra scienza ed etica, che avrebbe dovuto condurre il genere umano verso il futuro.  Potter cominciò a proporre la nozione di bioetica nel 1970, in un famoso articolo dal titolo “Bioethics: The Science of Survival” (Bioetica: la scienza della sopravvivenza), mentre l’anno seguente pubblicò l’opera completa contenente la propria teoria (“Bioethics: Bridge to the Future“, disponibile nella versione italiana per Sicania editore).

 

Qual era dunque l’idea di fondo di Van Rensselaer Potter?

Diversamente da ciò che si potrebbe pensare, il rapporto tra essere umano e medicina non era di per sé al centro delle riflessioni del biochimico. Il cuore dell’opera è infatti dedicato a dimostrare quanto sia pericolosa l’ignoranza che riguarda l’uso della tecnica e della tecnologia. Potter temeva gli effetti della loro applicazione sul lungo periodo, auspicando quindi la formazione di una coscienza etica collettiva, di un senso del limite da esercitarsi rispetto al progresso.

 

Concetti troppo astratti?

Secondo il biochimico era dunque indispensabile una “biological wisdom“, una consapevolezza dei rischi dell’azione dell’uomo sull’ambiente in generale, al fine di garantire un futuro al genere umano. Serviva perciò “la conoscenza di come usare la conoscenza”, visto che

« per quanto riguarda il resto della natura, [noi esseri umani] siamo come un cancro le cui strane cellule si moltiplicano senza restrizione ».

Questa affermazione del biologo marino Norman Berrill fondò il pensiero di Potter. Il biochimico riteneva infatti che l’istinto di sopravvivenza del genere umano non fosse più sufficiente e a entrare in gioco dovesse essere una vera e prorpia scienza della sopravvivenza.

In particolare, il biochimico aveva concentraro i propri studi in materia oncologica, arrivando a individuare i danni provocati dall’ inquinamento ambientale sulla salute umana.

«  La nostra era ha scoperto come far divorziare la conoscenza dal pensiero, col risultato che abbiamo, in realtà, una scienza che è libera, ma non ci è rimasta quasi nessuna scienza in grado di riflettere »

sostenne il medico franco-tedesco Albert Schweitzer, citato da Potter. Perciò appariva indispensabile ri-pensare l’azione umana, interrogandosi su come limitarne la portata sulle altre specie viventi e sull’ambiente circostante. L’assunto di base era che la possibilità di fare qualcosa non rendesse di per sé quel qualcosa accettabile sia sul piano morale, sia su quello scientifico. Ecco quindi il ponte tra etica e scienza.

 

Che cosa può quindi rimanerci da un primo approccio all’opera fondativa della bioetica, nella quale il termine stesso “bioethics” è stato coniato?

 

Da un lato lo stimolo a una costante messa in discussione di tecniche e tecnologie rispetto alle proprie condizioni e conseguenze. Dall’altro la consapevolezza assoluta dei pericoli che il genere umano pone in essere nei confronti delle altre specie viventi e dei loro ecosistemi. Elementi che oggi più che mai non possono essere minimizzati.

Infine, sembra interessante riflettere su alcune idee date per scontate nnell’immaginario collettivo. Si ritiene infatti che la bioetica sia nata avendo per obiettivo la tutela dell’essere umano rispetto all’impiego delle tecniche e delle tencologie su se stesso. In realtà, come abbiamo visto, l’obiettivo di Potter era quello di ri-mettere in discussione sì l’uso degli strumenti tecnici, ma nel più ampio contesto dell’ambiente in cui l’uomo vive.

Se l’articolo vi ha interessati, non esitate a condividerlo e… a seguire Penna Vagante sui social! A presto!

 


RIFERIMENTI :

  1.  V. R. Potter, Bioethics: The Science of Survival, in Perspectives in Biology and Medicine, 14 (1970).
  2.  V. R. Potter, Bioetica: ponte verso il futuro, Sicania, Messina, 2000 (ed. it.);
  3.  N. J. Berrill, Man’s Emerging Mind,New York: Dodd, Mead and Co., 1955;
  4.  A. Schweitzer, An Anthology, Beacon Press, 1948.

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