[Image Courtesy of Newtown grafitti ]
Il 6 febbraio ricorre la Giornata Internazionale
contro le mutilazioni genitali femminili.
Un tema che riguarda il diritto, ma prima ancora l’antropologia e quindi il ruolo della cultura (in senso ampio) rispetto a una data società.
Ma in che cosa consistono le FGM (dall’inglese female genital mutilation)?
Si tratta di quelle procedure che hanno per scopo l’alterazione o il danneggiamento dei genitali femminili per ragioni non mediche e che, a livello internazionale, sono riconosciute come violazione dei diritti umani delle donne e delle ragazze.
Le ragioni per le quali le FGM sono realizzate sono numerose e di diversa natura:
- sessuali, quando sono volte a soggiogare o sminuire la sessualità femminile;
- sociologiche, quando sono legate al bisogno di una comunità di riconoscersi attraverso riti di iniziazione, attraverso i quali le giovani sonointegrate e la comunità rimane unita;
- igieniche ed estetiche, nei casi di quelle culture
nelle quali i genitali femminili esterni sono ritenuti osceni o veicolo di infezioni;
- sanitarie, in quanto in alcune società è radicata l’idea che la mutilazione aumenti la fertilità della donna e/o la salute del nascituro;
- religiose, in quanto pratiche che si ritengono dettate da testi religiosi (Corano).
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha suddiviso le FGM in quattro categorie a seconda del grado di gravità:
- la clitoridectomia o escissione della clitoride (tipo I): si tratta dell’asportazione parziale o integrale della clitoride al fine di eliminare la sensibilità erogena
principale dal corpo della donna;
- l’escissione o asportazione (tipo II) della clitoride e delle piccole labbra, che talvolta coinvolge anche la parziale rimozione delle grandi labbra;
- l’infibulazione (tipo III), vale a dire l’asportazione della clitoride, delle labbra (piccole e grandi), nonché la cauterizzazione e la cucitura della vulva lasciando spazio alla sola fuoriuscita di urina e sangue mestruale;
- altre pratiche di mutilazione genitale non classificate come l’uso di piercing, la cauterizzazione e l’incisione o rimozione di parti della vulva, nonché l’uso di acidi (tipo IV).
Simili pratiche non incidono esclusivamente sulla sessualità, ma più in generale sulla salute globale della donna. Al di là dell’enorme danno psicologico, l’impiego di strumenti rudimentali e il mancato rispetto di qualsiasi norma igienica possono implicare l’insorgenza di molteplici conseguenze. Le infezioni causate dai tagli e dalle suture comportano infatti complicazioni che riguardano le vie urinarie e la fertilità delle donne che subiscono simili atrocità. Non solo, perché l’escissione della clitoride può causare la formaizone di un neuroma traumatico, cioè di un insieme di fibre nervose che rendono la benché minima stimolazione dell’area terribilmente dolorosa. Tutto ciò ammettendo che l’esecuzione di una di queste operazioni non provochi emorragie o infezioni di per loro fatali. In caso di sopravvivenza, al dolore atroce associato ai rapporti sessuali si aggiungono rischi di ritenzione urinaria (incapacità della vescica di svuotarsi) e di cistiti croniche.
Secondo l’OMS più di 200 milioni di ragazze e donne convivono oggi con una mutilazione di questo tipo. Persone che si trovano per lo più in 30 Paesi disseminati tra africa, Medioriente e Asia, anche se simili pratiche vengono poste in essere clandestinamente anche in Occidente.
A livello internazionale la lotta contro le mutilazioni genitali femminili è condotta dall’OMS insieme all’Unicef e al Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (UNFPA). In Italia il Parlamento tutela le donne dal 2006 (Legge 7/2006), anche grazie all‘art. 583-bis c.p. che punisce con la reclusione da quattro a dodici anni chi, senza esigenze terapeutiche, cagiona una mutilazione degli organi genitali femminili.
L’importanza della tematica e la necessità di tutelare le ragazze esposte al pericolo delle mutilazioni ha fatto sì che il Time abbia riconosciuto un’attivista Maasai tra le 100 persone più influenti al mondo nel 2018 (qui potete trovare l’articolo). L’attivista è Nice Nailantei Leng’ete, ragazza sfuggita a 9 anni al taglio nel proprio villaggio e che da adulta ha intrapreso un’azione pervasiva di negoziazione con le guide dei villaggi africani al fine di individuare riti d’iniziazione diversi dalle mutilazioni.
Il percorso verso l’eliminazione di simili pratiche è ancora lungo e non libero da ostacoli, considerato come il sottrarre le donne a questi riti costituisca un autentico pericolo per la loro incolumità e per la coesione della comunità cui apprtengono. Ciò non significa che le FGM vadano tollerate, ma che la complessità delle relazioni in cui si inseriscono renda impossibile prevederne un contrasto che non passi da una profonda trasformazione del ruolo della donna e della sua libertà sessuale.