❤ Buon San Valentino ❤
ai lettori e alle lettrici di Penna Vagante!
Personalmente non sono un’amante delle festività di questo tipo e perciò ho immaginato di dare una chiave di lettura diversa a questa ricorrenza. Una chiave legata alla bioetica e che parte dal simbolo che l’Occidente ha legato alla nozione d’amore: il cuore.
Il cuore di cui vi vorrei parlare oggi è però l’organo centrale dell’apparato cardiocircolatorio e in particolare il cuore come oggetto di trapianto. Un trapianto è un intervento di microchirurgia grazie al quale un organo, le cui funzioni risultano compromesse, viene sostituito con un analogo organo proveniente da un altro corpo. Il trapianto può riguardare interi organi (cuore, rene, fegato, pancreas) o specifici tessuti (come pelle, cornee o midollo osseo). Va da sé che l’espianto potrà avvenire da una persona vivente solo qualora la parte interessata non sia essenziale alla vita. Oggi giorno è inoltre possibile realizzare i cosiddetti xenotrapianti, prelevando cioè l’organo o il tessuto da animali e lavorandolo con tecniche di ingegneria genetica in grado di renderlo compatibile con l’organismo umano. Infine, la scienza ha reso possibile l’impianto di organi e valvole artificiali nel corpo umano.
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La storia contemporanea dei trapianti di organo è iniziata dalla scoperta nel 1900 dell’esistenza dei gruppi sanguigni (A, B e 0) a opera del biologo e fisiologo Karl Ernest Landsteiner. Due anni dopo Alfred von Decastello e Adriano Sturli, scoprirono il gruppo AB, mentre lo stesso Landsteiner nel 1940 identificò con Alexander Wiener il fattore sanguigno Rh.
Da queste basi e dalla ricerca veterinaria, il biologo Peter Medawar prese spunto per sperimentare i primi trapianti di pelle durante la Seconda Guerra Mondiale, giungendo a scoprire la prima colla biologica, successivamente molto impiegata in ambito clinico (il fibrinogeno, una proteina il cui compito è quello di coagulare il sangue).

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Ma il principale merito di Medawar, che gli valse anche il premio Nobel (1960), fu quello di teorizzare la nozione di tolleranza acquisita attivamente, sottolineando cioè l’importanza della compatibilità dei tessuti tra donatore e ricevente (istocompatibilità).
Nel 1954 il chirurgo Joseph Murray eseguì il primo trapianto di rene a Boston, tra due gemelli monozigoti. Rispettivamente nel 1963 e nel 1966 furono realizzati il primo trapianto di fegato (Thomas Starzl) e il primo di pancreas (William Kelly, Richard Lillehei).
Il cuore è stato dunque l’ultimo organo, in ordine cronologico, il cui trapianto ha conosciuto il successo. Autore dell’opera, il sudafricano Christiaan Barnard, era un chirurgo le cui indiscusse capacità non riuscirono a sormontare, presso i colleghi, il fastidio per la sua superbia. Infatti, quando il 3 dicembre 1967 a Città del Capo espiantò il cuore da una donna di 25 anni, violò numerose norme, commettendo formalmente un omicidio. All’epoca le regole etiche e giuridiche ponevano infatti cospicui limiti agli interventi di espianto: la morte veniva infatti accertata solo quando il cuore smetteva di battere. Secondo questo paramtero, Denise Darvall, vittima di un incidente stradale che l’aveva resa incosciente, era quindi ancora viva quando Barnard prelevò il suo cuore. Barnard surclassò così Norman Shumway, chirurgo di della Stanford University che i colleghi di tutto il mondo conoscevano e ritenevano sarebbe stato il primo a riuscier nell’impresa. Schumway tuttavia rispettò le regole deontologiche dell’epoca e non ottenne il primato.
Il ricevente del primo trapianto di cuore fu dunque Louis Washkansky, paziente diabetico di 55 anni che sopravvisse 18 giorni all’operazione, morendo per una

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polmonite. Significativamente Barnard non avvisò nessun collega del suo piano, prima di mettere in atto l’operazione, ben sapendo che non sarebbe stato autorizzato a espiantare il cuore che batteva ancora. Battito che allo stesso tempo era necessario perché l’operazione avesse successo e che implicava che, per gli standard dell’epoca, la paziente fosse considerata viva. Il paziente inoltre, era il paziente perfetto per il progetto sperimentale del chirurgo: i suoi reni e il suo fegato erano gravemente compromessi e l’audace tentativo di trapianto rappresentava un’ultima possibilità. Barnard non solo non venne accusato di omicidio o di violazione delle regole deontologiche, ma divenne un’autentica star nel mondo medico.
Nel gennaio 1968 Barnard eseguì un secondo trapianto, grazie al quale il paziente sopravvisse 19 mesi. Molti colleghi lo accusarono di aver intrapreso una strada pericolosa in un momento in cui la conoscenza non era ancora sufficiente a supportare l’intervento sull’uomo. Infatti il problema delle crisi di rigetto era ben al di là della risoluzione. Tuttavia, Bernard ebbe il merito, anche grazie all’ampio coinvolgimento dell’opinione pubblica, di accelerare il dibattito attorno alla definizione di morte, spingendo i suoi colleghi ad adottare criteri comuni per identificare la morte cerebrale.
L’eco dell’opera di Barnard fu tale presso l’opinione pubblica che, quando morì nel 2001 per un attacco d’asma, le principali testate riportarono la notizia di un attacco di cuore, ben sapendo quanto i lettori sarebbero rimasto affascinati dalla nemèsi del famoso chirurgo…