Margaret Atwood all’anteprima del Salone del Libro di Torino: consigli di lettura e curiosità sull’autrice.

In occasione del ritorno in presenza del Salone del Libro di Torino (con l’edizione 2021 – Vita Supernova), l’anteprima del Salone avrà degli ospiti di altissimo profilo, tra i quali… Margaret Atwood! L’evento si terrà il 3 ottobre (i biglietti si trovano qui) e sarà un’occasione unica se siete tra coloro che sono finiti catapultati a Galaad grazie alle pagine di Atwood o anche se siete curiosi di scoprire chi si celi dietro a quelle pagine.

Della prolifica autrice canadese avevo già raccontato qualcosa in occasione dell’uscita del graphic novel de “Il racconto dell’ancella” (potete rileggerlo qui). Margaret Atwood, poetessa e scrittrice di origine canadese, ha all’attivo quasi più di 60 creazioni letterarie di diverso genere, incluse la saggistica e la letteratura per bambini.


Giusto qualche mese fa, in occasione del trasloco che mi ha costretta a una poderosa opera di catalogazione del mio patrimonio letterario, ho scoperto di aver letto il primo racconto di Atwood alle elementari, grazie al prezioso fiuto di mia madre. Si tratta de “La Principessa Prunella“, titolo uscito per Mondadori Junior nel 1998. Prunella è la tipica principessa viziata e ossessionata dal proprio aspetto fisico e dalla propria persona in generale. L’incontro con una fata le farà comprendere quanto poco pesi l’estetica nel definire una persona… e quanto invece contino le qualità morali e di relazione con gli altri.

Al di là dell’incontro casuale con questo autentico reperto di editoria per bambine e bambini, posso dire di aver effettivamente scoperto Atwood soltanto nel 2016, grazie a un’amica, che non ringrazierò mai a sufficienza, che mi consigliò di leggere “The Handmaid’s Tale“/”Il raccondo dell’ancella“. Un romanzo distopico pubblicato per la prima volta nel 1985 (in Italia nel 1988) e che ha conosciuto un rinnovato successo grazie alla fortunata omonima serie TV. [Qui potete trovare una super-sintetica recensione del romanzo].

Nel 2019 Atwood ha poi pubblicato il sequel de “Il racconto dell’ancella”, dal titolo “Testamenti” e che, a dispetto di una certa nota tradizione, non ha per nulla deluso i lettori. Voce narrante del romanzo non è più l’ancella Difred/Offred, bensì la temibile e temuta zia Lydia. Testamenti” non tenta di recuperare il percorso compiuto dalla serie TV, quasi completamente autonoma (al netto delle premesse strutturali come la teocrazia totalitaria di Galaad/Gilead e le relative strutture di potere e comando, nonché i fatti prettamente iniziali della storia). La voce di zia Lydia spiega per quale ragione il totalitarismo si sia sfaldato e quali paradossi si siano ingenerati a partire dalla considerazione della donna o come prezioso e puro bocciolo, oppure quale pericolosa minaccia.

Margaret Atwood è una delle scrittrici viventi di narrativa e di fantascienza/narrativa speculativa tra le più premiate e che di recente ha dato alle stampe una nuova attesissima raccolta di poesie: “Moltissimo“. Una prolificità rilevante, soprattutto se consideriamo che l’autrice compirà il prossimo novembre ben 81 anni.

Anni spesi a favore dell’attivismo climatico e femminista, delle scrittura creativa e saggistica, della militanza a favore dei diritti e delle libertà riproduttive delle donne, troppo spesso minacciate da norme inique. La tecnica dell’ambientazione distopica, infatti, risulta preziosa quale lente di osservazione dei giorni contemporanei e, al contempo, quale campanella di allarme rispetti a condizioni sociali e culturali sovente pericolose per la condizione femminile.

Se siete curiose e curiosi di scoprire di più dell’autrice… l’appuntamento è quindi per il 3 ottobre 2021 all’anteprima del Salone del Libro!

‘The Handmaid’s Tale’: il fumetto. Recensione per grandi appassionati e primi lettori.

‘The Handmaid’s Tale’ (‘Il Racconto dell’Ancella’) è il prodotto della penna a dir poco geniale di Margaret Atwood. La Atwood, poetessa e scrittrice di origine canadese, ha all’attivo quasi più di 60 creazioni letterarie di diverso genere, incluse la saggistica e la letteratura per bambini.

The Handmaid’s Tale” è senza dubbio la sua creazione che negli ultimi anni ha riscosso più successo, complice anche la produzione dell’omonima serie TV a opera di Netflix. Personalmente sono rimasta piuttosto scettica verso la serie e il romanzo per molto tempo. L’enorme clamore suscitato mi dava la percezione che potesse trattarsi di prodotto letterario fondato su slogan e ideologizzazioni. Poi, l’estate scorsa mi sono infine decisa a prendere il mano il libro, in versione inglese, e tutte le mie perplessità si sono sgretolate nell’arco di un pomeriggio e una sera di alacre lettura.

Si tratta di un romanzo distopico, ambientato in una teocrazia totalitaria insediatasi 640px-Margaret-Atwood-Handmaids-Tale-Folio-Society.jpgdopo aver rovesciato la democrazia statunitense. La Terra è distrutta dall’inquinamento in ogni forma e la popolazione non cresce più. Il cuore pulsante della teocrazia di Gilead (Galaad nell’edizione italiana) è la fertilità. La società è fortemente gerarchizzata e in cima alla piramide si trovano i Comandanti, gerarchi della Repubblica di Gilead, che si fondano sul precetto biblico (Genesi 30, 1-4) per cui i mariti possono avere rapporti sessuali cone le proprie serve per generare figli, quando le mogli siano sterili, allo scopo di dotarsi di Ancelle fertili. Le Ancelle si trovano dunque in uno stato di assoluto asservimento, autorizzate esclusivamente a offrirsi ai Comandanti per riuscire a procreare. I nati da queste unioni sono destianti a divenire figli dei Comandanti e delle loro Mogli, rinviando l’Ancella a una nuova destinazione fintanto che sia fertile.

Oltre al romanzo originale, pubblicato nel 1985 in Canada e arrivato nel 1988 in Italia, e alla serie TV prodotta da Netflix… il 26 marzo 2019 è stato pubblicato il fumetto ispirato al racconto di Margaret Atwood!

L’autrice delle illustrazioni è Renee Nault (qui trovate il suo sito),Photo 11-04-2019 23 32 43 illustratrice canadese dall’indiscusso talento, il cui tratto tipico è un mix di illustrazioni a inchiostro e acquarelli dai toni molto vividi.

Mi perdoneranno gli artisti per la genericità della descrizione, ma qui potete osservare un esempio tratto proprio dal graphic novel.

Il fumetto segue strettamente lo sviluppo del romanzo, a differenza di quanto è avvenuto per la ​serie TV.  A questo proposito Renee Nault ha dichiarato di aver evitato non solo di guardare la serie, ma anche il film realizzato negli anni ’90, per non venire influenzata nella realizzazione dei disegni. Ciò anche in relazione al fatto che il lavoro di trasposizione grafica della Nault è iniziato prima della messa in onda della serie.

L’adattamento del romanzo al fumetto è senza dubbio un’operazione più complessa di quella rivolta agli schermi televisivi. Il pubblico al quale si rivolge la trasposizione grafica è senza dubbio più selezionato e attento, così le critiche non sono mancate specialmente in relazione alla delicatezza delle illustrazioni rispetto all’abbigliamento dei personaggi. Per quanto mi riguarda questa ricercatezza (per cui gli abiti delle Ancelle risultano voluminosi invece che infeltriti e castigati) affonda invece le unghie nella carne viva della storia. Vi è un’apparente, noncé solidissima, serenità nella Repubblica di Gilead. Un’apparenza che cela sotto di sé il dramma più antico dell’umanità per quanto concerne la condizione femminile: la capacità di generare nuovi individui. Un dramma che si declina in decine di modalità: l’incapacità di concepire, quella di farlo e pertanto essere sfruttate, ma anche la condanna morale per le scelte riproduttive compiute prima dell’avvento dela teocrazia.

Non solo, perché all’illustratrice viene contestata la quasi assenza di persone afroamericane. Questa è però una critica derivata dalla mancata lettura del romanzo originale, nel quale la Atwood specifica come le persone di colore siano state rinviate in alcune aree del Midwest, in un’ottica simile a quella dell’apartheid sudafricano. Dato invece modificato nella serie TV.

Il fumetto è un’opera completa in grado di introdurre nuovi lettori al mondo creato da Margaret Atwood, ma anche di fidelizzare gli interessati rimasti più tiepidi rispetto alla serie TV… nonché di soddisfare i veri appassionati!

Nel fumetto troverete una terza dimensione della storia di Margaret Atwood, più onirica e ancora più vivida di quella del romanzo, ma soprattutto più cruda di quella della serie TV. Per ora è ordinabile online o presso alcune librerie nella versione inglese, attualmente l’unica disponibile. Online non si trovano notizie circa future traduzioni, ma visto lo straordinario successo dell’opera è abbastanza sicuro che non tarderanno ad arrivare!

I 70 anni della Dichiarazione Universale dei diritti umani e i diritti riproduttivi.

Oggi ricorre la Giornata mondiale dei Diritti Umani. Inoltre la Dichiarazione Universale, dalla quale la giornata trae origine, compie proprio quest’anno 70 anni.

L’Assemblea Generale dell’ONU ha infatti proclamato la Dichiarazione
il 10 Dicembre 1948.

Voi sapete che cosa sono i diritti umani?

Se avete qualche dubbio, sappiate che si tratta di quei diritti riconosciuti all’uomo in base alla sua semplice appartenenza al genere umano.
L’idea non è nata in tempi recenti, ma è stata formalizzata soltanto dopo la Seconda Guerra Mondiale. Infatti, gli orrori perpetrati nei campi di sterminio e la morte di 50 milioni di persone resero indispensabile l’adozione di uno strumento giuridico in grado di salvaguardare i diritti fondamentali e la dignità di ciascuna persona senza distinzione «di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione» (art. 1 della Dichiarazione Universale).

Negli anni questi diritti sono divenuti sempre più articolati e specifici, fino a comprendere i diritti riproduttivi, cioè i diritti legati alla salute sessuale e riproduttiva.

Questo aspetto della salute riguarda prima di tutto la possibilità degli individui e delle coppie di decidere responsabilmente e liberamente il numero di figli da concepire, ma anche il momento e il luogo nei quali farlo. Non solo, perché a tutti gli individui andrebbe garantito l’accesso a complete informazioni e adeguati mezzi per poter assumere decisioni realmente libere in ambito riproduttivo. Ciò significa, inoltre, che a ciascun soggetto andrebbe assicurato il più alto livello di salute sessuale, oltre che riproduttiva.


Vi sembrano concetti molto astratti e remoti
?

Non è strano che sia così, perché i trattati internazionali impiegano normalmente un linguaggio astratto e generico, il modo da includere il maggior numero di situazioni e circostanze possibili. Queste ultime, spesso, sono molto lontane da quello che è il comune vivere occidentale, specialmente per chi può contare su disponibilità economiche di medio-alto livello.

In ogni caso, il concetto di salute riproduttiva è stato sviluppato sul piano legale come connesso alla vita della donna, vista la sua possibilità biologica esclusiva di  poter formare nel proprio corpo una nuova vita.

Esistono numerosi esempi di come la salute sessuale e riproduttiva sia messa a rischio:
– il rifiuto di permettere alla donna l’accesso a servizi sanitari (come l’obiezione di coscienza rispetto all’interruzione volontaria di gravidanza, in assenza di un medico che sostituisca l’obiettore),
– la bassa qualità, o assenza totale, di servizi sanitari pubblici, che espongono la donna alla necessità di rivolgersi ad attività clandestine,
– le mutilazioni genitali femminili,
– la sterilizzazione forzata,
– l’interruzione di gravidanza forzata,
– le condizioni di abuso vissute dalle spose bambine.

Alla base di queste violazioni vi è l’idea che il valore di una donna dipenda alla sua capacità di riprodursi, ma non solo. In alcuni Paesi a ciò si aggiunge la necessità di concepire un figlio maschio (necessità nella forma di forte pressione sociale o addirittura in forma di legge). Così, ragazze e donne si trovano costrette a subire gravidanze ripetute, spesso ravvicinate, o interruzioni di gravidanza selettive (come avviene nei Paesi dell’Asia orientale e meridionale, in Medio Oriente e nel Nord Africa).

Perché quindi dedicare qualche riga per ricordare come i diritti riproduttivi e sessuali siano a tutti gli effetti dei diritti umani? Perché troppo spesso si dimentica, o s’ignora in modo del tutto volontario, come la sessuale e riproduttiva costituisca a tutti gli effetti una forma di diritto alla salute e come rientri, più in generale, nella sfera di autonomia privata della donna.

Da questo punto di vista ho in mente tre approfondimenti mirati (a puntate). Vi racconterò in che modo i diritti riproduttivi si sono affermati come diritti umani, come questi ultimi abbiano accolto una prospettiva femminista e, non ultimo, quale sia l’origine storica e politica del diritto alla salute.

 

Curiosi? Spero di sì!
Ricordatevi di seguire Penna Vagante anche sui social
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P.s. In merito al 70° anniversario della Dichiarazione, questo è il video di Michelle Bachelet, Alta Commissaria per i diritti umani:

 mentre questo è il video di António Guterres, Alto Segretario dell’ONU:

Eliminare la violenza contro le donne: riflettere il 25 novembre per contrastarla tutto l’anno.

Terzo e ultimo appuntamento con la celebrazione della
Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne,
oggi 25 novembre.

Dopo avere parlato di violenza ostetrica (in questo post) e della mozione approvata dal Consiglio comunale di Verona (in questo post), oggi vi proporrò qualche riferimento normativo e statistico. A cominciare dall’infografica dell’Istat che vedete come immagine del post…

Noioso? Cercherò di evitare lo sgradevole effetto “lista della spesa”!

Tanto per cominciare occorre sapere che la Convenzione di Istanbul del 2011 (disponibile qui) è il primo strumento internazionale a non essere solo programmatico. Ciò significa che le sue norme sono giuridicamente vincolanti per tutti i 47 Stati che formano il Consiglio d’Europa (28 dei quali appartengono anche all’Unione Europea). Perché questa Convezione è stata fortemente innovativa?

Ebbene, perché la violenza sulle donne è stata riconosciuta come forma di violazione dei diritti umani e di discriminazione!
Violenza che può assumere centinaia di diverse sfumature, tra le quali violenza fisica (art. 35), psicologica (art. 33), sessuale ( art. 36), stalking (art. 34), e mutilazioni genitali femminili (art. 38).

Il catalogo delle violenze è stato poi esteso alle violazioni del diritto alla salute riproduttiva delle donne e a quelle che, attraversano l’uso delle tecnologie, violano il diritto al rispetto della vita privata o della dignità personale. A realizzare quest’ampliamento, il 26 luglio 2017, è stato il Comitato delle Nazioni Unite per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne (Cedaw), con la General Recommendation n. 35 (disponibile qui ).

Il 2018 è stato un anno cruciale per la lotta all’eliminazione della violenza sulle donne in Italia, dal punto di vista degli studi sul tema. L’Istat ha infatti completato la prima indagine sui servizi offerti dai Centri antiviolenza alle donne vittime: 281 centri hanno risposto tra giugno e luglio al questionario proposto.

È emerso come 49.152 donne sia siano rivolte ai Centri antiviolenza: 29.227 hanno iniziato un percorso per allontanarsi dal contesto nel quale si erano ritrovate a essere vittime. Se questi numeri non vi dicono nulla, provate a fare un esperimento: pensate a una cittadina di quasi 50 mila abitanti e immaginate che ciascun cittadino sia stato vittima di violenza e abbia cercato aiuto. Per i piemontesi, si tratta di comuni come quelli di Nichelino, Collegno o Rivoli. Per i lombardi potrebbero essere quelli di Mantova, Lecco o Cologno Monzese. Funziona?

Ecco, a questo punto considerate come non solo il campione considerato dall’Istat sia un campione ridotto, ma come mediamente il 75% delle donne vittime di violenza non denunci i soprusi subiti.

In ogni caso, l’Istat ha rilevato un pesante divario tra diverse aree italiane: il Nord-Est detiene il record massimo di donne prese in carico per singolo Centro antiviolenza (170,9), mentre il Sud quello minimo (47,5). Nel complesso, quasi un terzo delle donne che richiedono aiuto sono straniere e per la maggior parte hanno figli minorenni.
Il numero medio di donne prese in carico dai centri (115,5) è massimo al Nord-est (170,9) e minimo al Sud (47,5). Il 26,9 delle donne è straniera e il 63,7% ha figli, che sono minorenni in più del 70% dei casi.

I Centri forniscono servizi di ascolto, supporto legale, supporto psicologico, aiuto nel percorso di allontanamento dal partner violento, orientamento lavorativo, etc.
La maggior parte dei Centri (85,8%) lavora in sincrono con altri enti territoriali e quasi tutti (95,3%) hanno aderito al numero verde nazionale 1522 contro la violenza.
 Un numero elevato di centri è reperibile H 24 (68,8%), attivando un servizio di segreteria telefonica per gli orari di chiusura (71,1%) e un quarto dei Centri ha un proprio numero verde.

Infine, quasi 4.400 operatrici hanno prestato il proprio aiuto nel corso del 2017 per i Centri e oltre la metà di loro in forma del tutto volontaria. I Centri antiviolenza (93%) si occupano anche della formazione delle operatrici.

Disorientati da tutti questi numeri? Se avete resistito sino alla fine e siete curiosi di andare più a fondo, potete consultare un database dalle funzioni speciali che l’Istat ha inaugurato quest’anno: si chiama Violenzasulledonne.Stat e lo trovate qui!

La violenza sulle donne rimane un tema estremamente complesso da affrontare, costituito da fattori tra loro tanto differenti, quando connessi. Un problema culturale, basato su una rigida distinzione delle identità di genere. Un problema giuridico, perché così vario sul piano fattuale da risultare arduo da inquadrare. Un dramma umano, perché troppo spesso vissuto nella solitudine e nella vergogna.

Un dramma che va ricordato il 25 novembre, ma contrastato 365 giorni l’anno!

Eliminare la violenza contro le donne: il Comune di Verona e la Mozione anti-aborto nel dettaglio.

Secondo appuntamento con la ricorrenza del 25 novembre,

Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.

Il tema di oggi è l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG), più comunemente nota come aborto.

Nell’ordinamento italiano la possibilità di ricorrere a un’IVG è prevista dalla Legge 194 del 1978.

Grazie a questa legge, alla donna è permesso richiedere un’IVG entro i primi 90 giorni, se il portare a termine la gravidanza comporta per lei comporrebbe un serio pericolo per la salute fisica o psichica  (in relazione a stato di salute, condizioni economiche, sociali, familiari, etc.; art. 4).

L’IVG è dunque un diritto riconosciuto dallo Stato in capo a qualunque donna abbia i requisiti per accedervi. Dal canto proprio, lo Stato ha il dovere di fornire il relativo servizio, come avviene nel caso di qualsiasi altra prestazione sanitaria riconosciuta dallo Stato.

In questo contesto, il 4 ottobre scorso, il Consiglio Comunale di Verona ha approvato
la Mozione 434,
“Iniziative per la prevenzione dell’aborto e il sostegno alla maternità nel 40° anniversario della legge 194/1978 ”.

La mozione parte dal presupposto che l’applicazione della 194 abbia negli anni distorto lo scopo della legge stessa, la quale

“ si proponeva di legalizzare l’aborto in alcuni casi particolari (violenza carnale, incesto, gravi malformazioni del nascituro, etc) e di contrastare l’aborto clandestino, mentre ha contribuito ad aumentare il ricorso all’aborto quale strumento contraccettivo non ha affatto debellato l’aborto clandestino

Se pensate che quest’ultima affermazione sia frutto di studi messi a punti nei presidi sanitari Veronesi, siete sulla strada sbagliata. I consiglieri che hanno proposto la mozione hanno ricavato il dato da un articolo de Il Sussidiario.net, quotidiano online.

La mozione quantifica poi in 6 milioni gli aborti praticati dal 1978

“senza contare le “uccisioni nascoste” prodotte dalle pillole abortive e dall’eliminazione degli embrioni umani sacrificati nella pratiche di procreazione medicalmente assistita”.

Si continua così:

“le statistiche annuali degli aborti mostrano un leggero calo negli anni, ma non tengono conto delle varie pillole abortive: manca all’appello una popolazione di 6 milioni di bambini, che avrebbero impedito il sorgere dell’attuale crisi demografica”.

Le “varie pillole abortive” sono in realtà solo due farmaci:
– il Mifepristone (RU486), cioè l’antiprogesterogenico che impedisce il rilassamento dell’utero;
– il Misoprostolo, cioè la prostaglandina che favorisce le contrazioni dell’utero.
I due farmaci vengono utilizzati per il c.d. aborto medico, molto meno invasivo di quello chirurgico.

La mozione si riferisce quindi implicitamente alla c.d. pillola del giorno dopo, che non ha alcun effetto abortivo. La pillola infatti agisce bloccando l’ovulazione, impedendo cioè il rilascio dell’ovulo da parte delle ovaie ben prima che questo si annidi nell’utero.

La RU486, secondo i promotori della Mozione ha comportato la diffusione di una

cultura dello scarto […] abbandonando la donna proprio quando avrebbe maggiore bisogno di aiuto”.

Per queste ragioni il Consiglio Comunale ha impegnato il Sindaco e la Giunta

“ad inserire nel prossimo assestamento di bilancio un congruo finanziamento ad associazioni e progetti che operano nel territorio del Comune di Verona e a promuovere il progetto regionale “Culla segreta”, stampando e diffondendo i manifesti pubblicitari nelle Circoscrizioni e in tutti gli spazi comunali” e infine “a proclamare ufficialmente Verone “città a favore della vita”.

Quali sono i progetti individuati dai propositori? Il primo è il progetto Gemma, che, come si legge dal relativo sito,  consiste in

“un servizio per l’adozione prenatale a distanza di madri in difficoltà, tentate di non accogliere il proprio bambino. Una mamma in attesa nasconde sempre nel suo grembo una gemma (un bambino) che non andrà perduta se qualcuno fornirà l’aiuto necessario.”

La Mozione 434 costituisce, sul piano giuridico, una chiara interferenza con il diritto della donna di autodeterminarsi.

Perché?

Perché in uno Stato laico, le regole di comportamento non possono essere quelle dettate da una religione.

Ciascun individuo è libero di scegliere se professare o meno un certo credo e, conseguentemente, aderire alle relative regole. L’Italia ha smesso di riconoscere l’esistenza di una religione di Stato nel 1984. Professare una fede è quindi un’espressione della libertà di coscienza, ma imporne i dettami ad altri cittadini costituisce una violenza, nella forma di una privazione della libertà.

Il corpo delle donne è ancora oggi il campo di battaglia favorito dello scontro tra ideali politici e confessioni religiosi. In questo specifico caso come corpo in grado di generare la vita e, perciò, rendersi indispensabile alla sopravvivenza della società.

La Mozione 434 evidenzia bene come il compito delle donne fosse quello si sventare il verificarsi “dell’attuale crisi demografica”, mettendo davanti al proprio bene e alla propria libertà, il dovere procreativo per la comunità. Bambini mai nati, che sarebbero dovuti nascere per il bene della comunità. Una vita sacra per il bene degli altri.

Il 25 novembre è un’occasione perfetta per ricordarci (e ricordare a tutti), come il corpo delle donne non possa rimanere prigioniero di ideali politici o dettami religiosi, a meno che questa non sia una libera scelta della donna stessa.

Eliminare la violenza contro le donne: avete mai sentito parlare di violenza ostetrica?

Il 25 novembre ricorre la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne.

Se avete l’impressione che Penna Vagante sia nato solo per celebrare le ricorrenze nazionali, internazionali e mondiali… beh, il vostro sospetto è legittimo, ma non fondato! Novembre è semplicemente un mese ricco di momenti simbolici di riflessione.

La violenza contro le donne è un fenomeno dalle forme più diverse e scegliere di raccontarne un aspetto non significa ritenerlo per forza prioritario. Questo post è quindi il primo di un piccolo trittico dedicato ad alcune delle sembianze che questa violenza assume.

Avete mai sentito parlare di violenza ostetrica e ginecologica?
La prima definizione giuridica del fenomeno è stata formulata in una legge del Venezuela, nel 2007:

“ appropriazione del corpo e dei processi riproduttivi della donna da parte del personale sanitario, che si esprime in un trattamento disumano, nell’abuso di medicalizzazione e nella patologizzazione dei processi naturali avendo come conseguenza la perdita di autonomia e della capacità di decidere liberamente del proprio corpo e della propria sessualità, impattando negativamente sulla qualità della vita della donna

Ley Orgánica sobre el Derecho de las Mujeres a una Vida Libre de Violencia, art. 15(13)

Il termine “ostetrica” non deve trarre però in inganno, perché la violenza in questione non è perpetrata specificamente dalle ostetriche, ma da tuttli gli operatori sanitari che assistono la donne e il neonato. Autori degli abusi possono essere ginecologi, ostetrici e figure professionali coinvolte nella cura della gestazione e del parto. Vittime della violenza, quindi, risultano non solo le donne, ma talvolta anche i neonati.

La violenza ostetrica ha quindi due profili distinti.

Uno riguarda l’abuso diretto, sia fisico che verbale.
Un esempio? Il rifiuto di riconoscere il diritto della donna di alleviare il proprio dolore (es. ricorrendo all’epidurale), evocando durante il parto la necessità di soffrire perché il parto sia tale. Oppure gli insulti rivolti alla donna in merito alla sua incapacità di partorire, quando si trovi ad affrontare un travaglio particolarmene difficoltoso. Ancora, l’umiliazione subìta dalla donna in un momento di estrema vulnerabilità fisica ed emotiva, dettata anche dalla rinuncia a qualsiasi pudore fisico nel momento del travaglio, di fronte anche a un consistente numero di estranei.

La violenza ostetrica si concretizza anche nell’applicazione di procedure mediche sulle quali non è stato richiesto alla paziente il consenso o, peggio, pratiche del tutto coercitive. Si tratta dei casi, tra i più eclatanti, nei quali la donna subisce procedure imposte quali l’episiotomia o, addirittura, la sterilizzazione. La prima consiste nell’operazione chirurgica di incisione del perineo e della parete posteriore della vagina per allargare l’orifizio vaginale. Un’operazione messa in atto per decenni per favorire l’espulsione del feto durante il travaglio, che oggi giorno l’Organizzazione Mondiale della Sanità non raccomanda, come si può leggere qui.

Altre forme di violenza ostretica possono riguardare gravi violazioni della privacy,  il rifiuto della ricezione nelle strutture ospedaliere, la trascuratezza delle cure durante il parto… come un’episiotomia applicata con poca cura, con conseguente perdita della libertà per la donna di poter avere un rapporto sessuale privo di dolori o di vivere senza forme di incontinenza.

Il secondo profilo della violenza ostetrica è quello relativo all’estrema medicalizzazione della gestazione e del parto, percepito da molte donne come ostacolo alla propria autonomia di scelta.

In Italia le donne vittime di questo tipo di violenza sono riuscite a far intendere la propria voce a partire dalla campagna social “Basta tacere: le madri hanno voce“, lanciata nell’aprile 2016 (potete trovare maggiori dettagli qui).

“In 15 giorni la campagna #bastatacere ha avuto 21.621 like, ha raccolto oltre 1.136 testimonianze in formato foto-cartello e moltissime altre in formato testuale, ha coinvolto più di 700.000 utenti al giorno e ha avuto oltre 70.000 interazioni quotidiane”

E dopo il 2016?

Lo stesso anno l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha pubblicato una dichiarazione sul rispetto delle donne nel momento del parto e una proposta di legge è approdata al Parlamento italiano (potete trovarla qui), dove tuttora è in attesa di passare all’esame del Senato.

Se l’argomento vi ha interessati, sappiate che in un prossimo post si darà spazio alla risposta dei professionisti sanitari in merito! Inoltre, appuntamento sempre su questi canali per approfondire altri due tipi di violenza contro le donne, dei quali uno particolarmente legato all’attualità.